Va bene la Città Metropolitana, però... mi piacerebbe ci fosse un referendum

«Sindaci e istituzioni si stanno esprimendo a favore della Città metropolitana, e anch’io sono d’accordo. Mi piacerebbe però che ci fosse un referendum consultivo. Chi amministra dovrà tener conto del pensiero dei lodigiani».

Giuseppe Sozzi - presidente dal dicembre 2014 dell’Acl (l’Associazione comuni lodigiani), ex sindaco di Brembio e oggi vicesindaco - è convinto che la futura scelta «non potrà prescindere dall’unità del territorio e dalla sua volontà di difendere l’identità acquisita nel corso del tempo». E che la parola, prima o poi, sarebbe bene darla anche ai cittadini perché «il futuro è di tutti e non solo della classe dirigente del momento».

Che tipo di referendum immagina?

«Farlo in tutti i comuni sarebbe molto complicato, ma promuoverlo anche in una forma minore sarebbe comunque una buona cosa, ci si deve ragionare. Un referendum consultivo ci vuole, va costruito nelle forme giuste».

Si potrebbe fare online?

«È un’idea interessante, sarebbe un modo per coinvolgere anche le giovani generazioni, quelle dai quarant’anni in giù, visto che il futuro è loro. Noi e la Provincia potremmo fare un ragionamento su quale sia il modo migliore per portare il quesito all’attenzione di tutti i lodigiani».

Intanto si tratterebbe di sensibilizzare i cittadini sull’importanza della scelta. In molti comuni il dibattito non è ancora stato avviato…

«Però rispetto a un po’ di tempo fa i cittadini sono molto più consapevoli di cosa faceva la Provincia e di quanto fosse importante. Ed è una consapevolezza che è filtrata anche nei bar e nei supermercati. La gente parla delle scuole, delle buche sulle strade, dell’erba alta…»

E pensare che la riforma è passata tra un consenso popolare diffuso…

«Oggi però un sondaggio sull’utilità della Provincia avrebbe un esito diverso e un nuovo dibattito non cadrebbe nel vuoto. Il declassamento della Provincia ha dato maggiore consapevolezza di quali siano i bisogni del territorio. La gente comincia a rendersi conto di quanto un ente intermedio fosse importante».

Senta, perché anche lei è favorevole alla Città metropolitana?

«È la mia storia anagrafica, professionale, di studi. Inoltre Brembio è un paese in cui il pendolarismo è da sempre diretto verso Milano. Tutto mi porta là. Queste sono però considerazioni strettamente personali…».

Facciamone di istituzionali. C’è chi dice che nella Città metropolitana saremmo “marginali” o “troppo periferici”. Un quartiere di Milano, insomma..

«Non sono d’accordo, la marginalità te la giochi tu. Noi siamo ciò che siamo diventati perché ci credevamo, perché avevamo un’identità che volevamo far emergere e perché siamo stati uniti. La futura scelta, qualsiasi sarà, non può prescindere da questi due elementi. Dovremo saper difendere la nostra forte identità e portarla avanti tutti uniti».

Altre valide ragioni per non avere “paura” di Milano?

«C’è un fattore si stabilità. La Città metropolitana rimarrà in Costituzione, l’Area vasta è molto più volatile istituzionalmente, è costituita all’interno dell’ordinamento regionale e potrà sempre cambiare. Inoltre tornare con Milano vorrebbe dire entrare a far parte di un contesto europeo, la Città metropolitana di Milano è una delle poche realtà nazionali che si avvicinano alle grandi Città metropolitane del mondo. Se penso a tutto questo mi sento più sicuro. Però se si scommette su Milano sarà importante presentarci con le idee chiare su ciò che vogliamo essere e fare».

Con una lista della spesa, intende?

«Esattamente. Non basta non andare con cappello in mano, dobbiamo fare delle richieste precise per dire che questo territorio non è una Cenerentola. E per assicurarci l’autonomia anche nel nuovo ente».

In concreto?

«Penso all’importanza di mantenere un’appendice della Provincia, un presidio della Camera di Commercio, delle sedi di servizi e istituzioni. All’importanza di puntare sul Parco tecnologico e l’università. E penso anche alla nostra agricoltura, della quale non si parla abbastanza. E’ una delle nostre eccellenze, una delle migliori d’Europa, abbiamo stalle di eccellenza, prodotti di grande qualità. Credo che Milano avrà convenienza ad inglobare un territorio con caratteristiche che non ci sono nel resto della Città metropolitana. Un po’ di cose le abbiamo, non siamo all’anno zero».

Ma secondo lei ci sarà unità di intenti?

«Sono convinto di sì, l’unità è stata la nostra storia e la nostra fortuna. Sarebbe una sciagura dividerci, andare un po’ di qua e un po’ di là. Nel dibattito in corso sul vostro giornale ci sono delle motivazioni e dei distinguo che comprendo, ma sono pronto a scommettere sul Lodigiano unito. Dobbiamo compiere la futura scelta uniti, con quello spirito che ci ha portato alla creazione della Provincia e di realtà molto importanti per il nostro territorio come la Sal, il Consorzio lodigiano per i servizi alla persona, la stessa Acl e, pur tra mille polemiche, la Sogir».

Il Consorzio lodigiano per i servizi alla persona è però rimasto orfano di alcuni comuni. Proprio in questa pagina il suo presidente, Giancarlo Cordoni, ne ha auspicato la ricomposizione…

«Non basta dire che bisogna restare uniti, bisogna fare in modo che lo stare insieme sia condiviso. Se qualche comune nicchia qualche ragione l’avrà. Ci vuole uno sforzo maggiore per far vedere il lato positivo del Consorzio. Bisogna far capire che la coesione significa molto sotto l’aspetto dei servizi pubblici».

Approfondiamo…

«Non bisogna demonizzare né sottovalutare le ragioni di chi oggi dice no: va fatto uno sforzo per comprenderle. Ci si deve mettere energia per fare capire che questi processi sono virtuosi. Noi dobbiamo saper vedere anche le cose che non vanno, non basta dire che bisogna stare tutti assieme, io dico che bisogna stare tutti insieme appassionatamente».

Detta così sembra una critica a Cordoni…

«No, nessuna critica. Sono sicuro che Cordoni condivide questo pensiero. Sto solo osservando che bisogna mettere gli amministratori nelle condizioni di non dire di no. L’offerta deve essere più valida dell’alternativa. Ricordiamoci la genesi del Consorzio, alla quale avevo contribuito partecipando alla stesura del primo statuto: all’inizio eravamo una quarantina di comuni, gli altri si erano riuniti nel distretto di Sant’Angelo. A uno a uno tornarono tutti: la grande forza fu quella di non demonizzare chi tornava, ci si sforzò anche di accogliere le critiche iniziali».

È da escludere la natura politica di certi dissensi?

«Mi rifiuto di pensare che certe decisioni siano state prese per ragioni di bandiera, un buon amministratore sa che erogare un buon servizio è il passe-partout per un rinnovo amministrativo o per lasciare un buon ricordo. Chi si è allontanato dal Consorzio lo ha fatto perché insoddisfatto. Poi può darsi che qualche strumentalizzazione ci possa essere stata».

A proposito di consorzi, c’è chi in questa pagina ha auspicato la nascita di un nuovo Consorzio del Lodigiano che possa tutelare e rappresentare tutti i nostri comuni nella Città metropolitana. È possibile che ciò accada?

«Noi abbiamo già un elemento identitario forte rappresentato proprio dall’Acl, una realtà che esiste solo qui e nel Bresciano. Visto che abbiamo questa peculiarità, partiamo da qui. Nulla vieta che nei prossimi anni l’Acl possa cambiare la sua natura giuridica ed essere trasformata in un consorzio e che, come proposto da alcuni sindaci, all’interno di questo consorzio possano essere riconosciuti tre micro-ambiti rappresentativi del nord, del centro e del sud del territorio. Io mi metto a disposizione, utilizziamo l’Acl anche come luogo istituzionale che possa decidere su queste questioni, come luogo da cui ripartire. Senza trascurare il ruolo della Provincia, finché continuerà ad esistere».

Condivide il piano d’azione di Soldati?

«Sì, sono convinto che tempi e modi siano quelli giusti. E sono sicuro che la delegazione dei sindaci che sarà formata in primavera sarà la più rappresentativa possibile. Aggiungo che l’Assemblea del Lodigiano è il luogo adatto per un’elaborazione progettuale».

Dei contatti con il Cremasco cosa pensa?

«Hanno una logica, nulla vieta un’interlocuzione. Credo però che il Lodigiano andrà così com’è a Milano. La via maestra è portare tutto il Lodigiano nella Città metropolitana, il resto è in subordine. Dobbiamo avere un piano B ma dobbiamo puntare al piano A».

Cosa dice della Legge di stabilità? Sperava anche lei che cancellasse l’obbligatorietà delle gestioni associate?

«Sì, e non solo: mi sarei aspettato un’incentivazione forte sulle unioni e sulle fusioni. Il processo di accorpamento tramite unioni e fusioni è un processo storico non rinviabile. La proroga per le gestioni associate è solo un bicchiere molto mezzo vuoto. La sintesi migliore sarebbe stata la forte incentivazione agli accorpamenti e il definitivo stop all’obbligo delle gestioni associate. Diciamo che siamo ancora in mezzo al guado».

Fiducioso sul futuro del Lodigiano?

«Ripeto, non siamo all’anno zero, le cose le sappiamo fare. Se avremo la consapevolezza che siamo una realtà con una storia fondata sull’unità territoriale, allora sarà tutto più semplice. Se prevarrà questa consapevolezza andremo verso il futuro come territorio forte. E sono sicuro che alla fine sarà così. Io sul nostro futuro sono pronto a scommettere».

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