L’edilizia selvaggia. E non solo

Nell’ora del notiziario, le riprese della Tv indugiano su un paesaggio sconvolto: campi inariditi, erbacce, un intrico di sterpi e arbusti, alberi rinsecchiti, rifiuti e cumuli di macerie. Questa è terra di insediamenti abitativi, che si materializzano all’orizzonte in un ammasso caotico di villette, capannoni, cascine e impianti sportivi e che ancora prima sono annunciati da una miriade di cantieri edilizi, scheletri di centri commerciali, mozziconi di case in costruzione. Qui ha trovato orribile morte la piccola e promettente atleta Yara Gambirasio, di appena 13 anni, e non c’è luogo che può meglio richiamare l’immagine di morte e di disperazione, come se questa giovane creatura assurgesse a simbolo della morte della natura, cui portano lo scempio edilizio e l’assalto alle risorse naturali. Ogniqualvolta vedo queste terribili immagini, che in questi giorni ricorrono con cadenza ossessiva, mi viene da pensare, secondo quanto emerge dalla memoria storica e dagli studi agronomici, che questo è l’aspetto che la valle del Po aveva tre o quattromila anni fa, agli albori della civiltà occidentale, e mi chiedo come abbia fatto l’uomo a regredire fino a tal punto trasformando, nell’arco di una manciata di anni, la favolosa campagna padana in una terra selvaggia, bruciata e devastata. Qualcosa di terribile si deve annidare nell’uomo, se il cosiddetto progresso, lungi dal propiziare un rapporto armonico con la natura, ci riporta al buio dei passati millenni, quando rozze e raminghe popolazioni non avevano ancora imparato a praticare l’agricoltura e a modellare i paesaggi naturali. C’è, tuttavia, da fare un’altra considerazione di importanza capitale. Guardando il paesaggio rurale di quella zona del Bergamasco, si capisce a colpo d’occhio che esso non vive una propria vita, ma è del tutto provvisorio, perché quello che oggi è un campo, domani diventa un’officina, quello che era un prato diventa residence o parcheggio. E con l’edilizia selvaggia e la pletora delle nuove costruzioni si fanno strada tutte le cose che hanno molto a che fare con i soldi e gli affari e poco da spartire con le regole di un’accorta pianificazione del territorio: i clan mafiosi trapiantati nelle sedi dell’opulenza, la corruzione che rialza la testa, la cattiva politica fatta di bisticci e vane contrapposizioni, il degrado sociale e le mille miserie che tarpano le ali della tanto agognata democrazia. E’ una cancrena che divora e distrugge tutto quel che tocca, portando alla catastrofe ambientale e alla rovina morale. Molti segnali che in questi tempi emergono dal quadro politico e sociale italiano mostrano che è stata decisamente imboccata la strada della perdizione. Le conseguenze sono drammatiche ed epocali. Come l’avvento dell’agricoltura ha irradiato la luce della civiltà, del diritto, dell’arte e della cultura, propiziando la formazione della coscienza civile e degli stati nazionali, così la sua ingiustificata distruzione farà precipitare il nostro Paese nel baratro della dissoluzione e della barbarie.

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