«Ho paura di finire in un grande calderone»

«Ho paura di finire in un grande calderone, c’è molta confusione. Se non cambia qualcosa finiremo soltanto per tornare ad essere il sud di Milano».

Antonio Guanieri - presidente della Banca di credito cooperativo di Borghetto e imprenditore del mobile a Bargano di Villanova del Sillaro - è «con il cuore in mano» che dice di esprimersi sul futuro del territorio. Ed è da “lodigiano convinto”, oltre che da uomo d’affari, che non risparmia critiche all’establishment locale.

C’è confusione, d’accordo. La riforma delle Province è un rompicapo. Ma cosa in particolare non la convince?

«Penso che non siamo pronti, tutto mi sembra ancora vago e non vedo unità di intenti da parte delle istituzioni».

L’orientamento che prevale è quello per Milano, almeno questo è chiaro. Lei non è d’accordo?

«Visto che dovremo prendere una decisione, anch’io scelgo Milano. Dobbiamo fare di necessità virtù, e siccome il Lodigiano gravita da sempre su Milano è un fatto naturale che si guardi alla Città metropolitana. Con Pavia o Cremona il discorso dovrebbe ripartire da zero...»

Però...

«Però non sono molto convinto di tutto quello che sta accadendo e di come i lodigiani si stanno muovendo. Se si vuol portare avanti un certo discorso lo si deve fare con determinazione e unità di vedute. Andiamo pure a Milano, ma andiamoci con la schiena dritta, non con il cappello in mano».

Ma su questo siamo ormai tutti d’accordo...

«Se però abbiamo perso la Provincia qualche responsabilità ce l’abbiamo. Io dico che qualche lodigiano avrebbe dovuto reagire per salvare quell’autonomia che ci siamo conquistati con il sangue e il sudore della fronte. Invece non ci siamo mossi per contrastare questo discorso che veniva dall’alto. Ora bisogna accettare la situazione, ma almeno cerchiamo di non guardare al futuro in modo confuso e sparso».

A chi pensa quando dice “qualche lodigiano”?

«Le responsabilità sono distribuite in varie parti del territorio. Sulle conseguenze della riforma bisognava sensibilizzare l’opinione pubblica al massimo. Questo non è accaduto, e mi sembra che neppure ora vi sia molta attenzione su quanto sta accadendo. I pompieri di qua, il 118 di là, la prefettura di là, la questura di qua. Tutte queste cose il Lodigiano non se le merita. Rimarranno solo la diocesi e l’ufficio delle entrate, una cosa ridicola per un territorio che si era impegnato molto per l’autonomia».

È tutto sbagliato, è tutto da rifare. È questo che pensa? Non sarebbe l’unico...

«Ripeto, c’è molta confusione. Bisogna prendere il toro per le corna, occorre che qualcuno prenda in mano la situazione. Abbiamo due consiglieri regionali, due parlamentari, gente nei posti che contano, bisogna parlare chiaro e prendere decisioni, è una questione di territorio, non di politica. Parlo con il cuore in mano, non possiamo mandare in malora tutto quello che abbiamo fatto in questi vent’anni in modo appassionato. Sono convinto che bisogna tornare con Milano, ma nella maniera giusta. Così non mi convince proprio, come imprenditore e come lodigiano».

Su cosa dovremmo puntare?

«Abbiamo bisogno di persone che sappiano portare il territorio in una sola direzione. Se qualcuno s’impegnasse troverebbe molte adesioni. Il fatto è che nessuno vuole impegnarsi più di tanto, perché impegnarsi significa esporsi. Però mi chiedo: dove può andare questo territorio senza i suoi uffici, le sue realtà istituzionali? A qualcosa dovremo rinunciare, ma non a tutti i servizi. Se nessuno fa niente finiremo per dover decidere all’ultimo momento e non potremo che tornare ad essere il sud di Milano, nulla di più».

In Provincia si sta formando la squadra di sindaci che dovrà giocare la partita con Milano. Non basta?

«È un’iniziativa utile. I sindaci sono i primi conoscitori del territorio. Però servirà una linea comune, dovranno mostrarsi forti e uniti. Se andiamo a trattare e poi cediamo alla prima difficoltà non va bene. Dovremo presentare delle richieste precise e batterci anche ad altri livelli per conservare i nostri servizi. E dovremo ottenere delle garanzie. Un presidio della Camera di commercio dobbiamo pretenderlo. La Camera di commercio distribuiva fondi alle aziende, ci sarà ancora questo? E la prefettura, la questura, i vigili del fuoco? Dobbiamo cedere anche su tutto questo? Per cosa? Per risparmiare? Io non ci sto. Noi non abbiamo mai chiesto la carità».

E se oltre ai sindaci la delegazione comprendesse anche gli imprenditori? E’ una possibilità sostenuta da più voci...

«Se così fosse sarei d’accordo. I sindaci da soli non bastano, è giusto che il territorio sia rappresentato anche dal mondo economico. Gli imprenditori sanno davvero quali sono i problemi. Peccato però che nel corso del tempo non siamo stati capaci di valorizzarli e li abbiamo lasciati soli. Così come non siamo stati capaci di valorizzare tante altre cose».

Quali?

«Il nostro essere lodigiani, le nostre tradizioni, le nostre produzioni. Potrà sembrare un fatto secondario, ma ha fatto bene a lamentarsi il presidente dei macellai lodigiani per l’esclusione dell’hamburger dal menù della rassegna gastronomica. Perché un prodotto lodigiano di qualità dev’essere snobbato dagli stessi lodigiani? Io sono molto legato anche a Crema e so che là tutto ciò che è locale viene valorizzato. Qui no, chi se ne importa dei prodotti tipici».

Cos’altro non abbiamo saputo valorizzare?

«Le nuove occasioni di lavoro. Da tutte le parti c’è movimento, voglia di arrivare a qualcosa di stabile. Da noi no, noi facciamo la guerra a chi ci porta lavoro, come ad esempio le aziende della logistica. Se c’è bisogno di lavorare ci vuole qualcuno che il lavoro lo porti. Non lo vogliamo? Bene, vorrà dire che andremo avanti a fare i pendolari per chissà quante altre generazioni».

Un futuro per la nostra economia non lo intravvede nella Città metropolitana?

«In questo momento tutto è ancora molto vago. Vale anche per l’economia. Noi stiamo andando bene come banca, ma con tutte queste difficoltà non sappiamo se possiamo continuare nel nostro ruolo. Noi raccogliamo risparmi in un territorio ben delimitato e lo distribuiamo in territori ben definiti. Lo faremo ancora? Saremo ancora in grado di farlo? Le concentrazioni sono un passo obbligatorio per questioni patrimoniali, d’accordo. I fatti dimostrano però che se l’economia nel Lodigiano sta andando avanti benino è perché i nostri tre istituti di credito hanno lavorato bene».

A proposito, a che punto è l’autoriforma delle Bcc?

«Le cose si stanno evolvendo sempre con incertezza, aspettiamo il decreto del governo che dovrebbe essere emanato entro ottobre, poi sapremo come muoverci. Ci è stata lasciata autonomia, ma certi personalismi hanno prevalso sul bene comune. Abbiamo discusso e litigato e si sono scatenati motivi di contrasto. Invece del blocco unico intorno a Federcasse ce ne saranno forse due, uno nazionale e uno del Trentino. Ma tante piccole Bcc non sanno come portare avanti il discorso. Questa insicurezza ha come conseguenza il fatto che molte risorse non si sappia dove poterle indirizzare».

Contrario alle decisioni del governo?

«Il governo è stato spinto dalla Bce e da Bankitalia. Però ci sarebbe voluta maggiore chiarezza. Ora non resta che aspettare il decreto».

Nessuna trattativa da parte vostra?

«No, soltanto rapporti di amicizia, di non conflittualità. Come Bcc di Borghetto non sentiamo né il bisogno né la necessità di avviare trattative. A meno che il governo non decida di stabilire un certo limite patrimoniale. Un limite che molti di noi non hanno».

A lei non chiederò se è fiducioso sul futuro del Lodigiano. Faccia lei un’ultima riflessione.

«Io sono sempre stato lodigiano convinto, faccio uno sforzo per adeguarmi alle circostanze, nel cambiamento vorrei vedere un futuro che in questo momento non vedo. Però ho fiducia nei lodigiani e nel loro spirito di reazione. E sono convinto che se ci metteremo di buzzo buono e resteremo uniti riusciremo a superare questa fase di incertezza».

(A)titolo link

© RIPRODUZIONE RISERVATA