Il lodigiano Enrico Mattea unico italiano nella spedizione per salvare i ghiacciai del Tagikistan

SCIENZIATO Il 31enne per cinque settimane in Asia: «Così abbiamo raccolto informazioni sugli ultimi diecimila anni di storia»

Da Lodi alle montagne del Tagikistan per studiare il futuro attraverso i ghiacciai. È la vicenda del glaciologo Enrico Mattea, unico italiano di una spedizione internazionale che ha affrontato il freddo dell’Asia per più di un mese con l’intento di prelevare delle “carote di ghiaccio” attraverso cui leggere il futuro dell’unica regione al mondo dove i ghiacciai anziché ritirarsi aumentano.

«Il mio viaggio, durato 5 settimane, è stato parte di un progetto internazionale avente lo scopo di raccogliere le prime due “carote di ghiaccio” complete dalle montagne del Pamir, una regione dove nessuno aveva mai preso dei campioni completi, ossia su tutto lo spessore dei ghiacciai - spiega il 31enne lodigiano laureato in fisica e glaciologia all’Università di Friburgo in Svizzera, dove sta ora ottenendo un dottorato -. Le carote di ghiaccio sono importanti perché costituiscono un archivio unico della storia climatica di un certo luogo, relativamente agli ultimi 10mila anni di storia, in questo nostro preciso caso, sia a livello locale, sia a livello globale, perché i ghiacciai accumulano informazioni anche di posti distanti». L’obiettivo della spedizione formata da 15 scienziati più altrettanti membri di supporto è stato triplice: «Raccogliere dati che ci rendano più sicuri nel tracciare conclusioni a livello di cambiamento climatico, capire la storia locale del clima delle montagne del Pamir ed inquadrarne quindi gli scenari futuri, infine cercare di decifrare l’anomalia del Pamir, l’unica regione al mondo dove sino a pochi anni fa i ghiacciai stavano crescendo invece di diminuire». Durante queste 5 settimane non sono mancate alcune difficoltà, «non tanto a livello logistico, quanto burocratico, perché abbiamo dovuto ottenere tutti i permessi scientifici, politici e militari per accedere al Paese». Giunti con l’aereo, Mattea e i suoi colleghi, in arrivo da mezzo mondo, si sono dovuti sobbarcare un ulteriore viaggio di oltre 1000 km di guida su piste sterrate, per poi salire a piedi verso la cima della calotta glaciale da trivellare, a 5800 metri di quota, e con la temperatura abbondantemente sotto lo zero. «Una volta estratti due campioni per una lunghezza totale di 100 metri ciascuno, attraverso la catena del freddo li abbiamo portati al laboratorio di analisi in Giappone - conclude -. Presto avremo i risultati».

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