Tra fango e freddo una comunità semplice e ostinata

EL PAGINON Uno dei pochi luoghi in cui la gente rallenta davvero ha i contorni di un recinto di erba e terra, panchine storte e lampioni fiochi: l’area cani

Lodi

Un bar senza bancone, un club senza tessera, un dopolavoro senza burocrazia. C’è un dettaglio curioso, quasi tenero, nella nostra società molto social e poco sociale: uno dei pochi luoghi in cui la gente rallenta davvero ha i contorni di un recinto di erba e terra, panchine storte e lampioni fiochi. L’area cani. Nome tecnico “area di sgambamento”, ma nessuno la chiama così. Non serve un dress code per accedere (anzi, più sei vestito “da cani” e più ti senti a tuo agio), l’ingresso è libero a tutti, senza filtri né selezioni: eppure, lì dentro, succede qualcosa che altrove sembra essersi perso. La liturgia segue un copione collaudato: si arriva ogni giorno più o meno alla stessa ora, con il cane che tira e la testa ancora altrove. Poi, senza accorgersene, ci si ritrova in un piccolo circolo a cielo aperto. Basta mezz’ora nel recinto e tutto si sgrana un po’. Il giro delle 18 si trasforma in un appuntamento che spesso salva la giornata. Gli umani parlano del più e del meno, ridono, si ascoltano davvero. Intanto i cani corrono, giocano, si fermano, ripartono, seguendo una logica tutta loro. La prima volta che si varca il cancello ci si sente un po’ spiazzati: gli umani, facce nuove, sono conosciuti per il nome dei propri amici a quattro zampe (ma quanto sono belli e curiosi i nomi dei cani?). I nomi dei “padroni” arrivano dopo, quando si capisce che non si è più comparse, ma parte di una compagnia strana e affiatata. E gli altri cani diventano un po’ anche i nostri: si gioisce se fanno progressi, ci si preoccupa se non stanno bene, si imparano le loro manie e i loro tempi. In poco tempo si crea una famiglia allargata che non ha niente di formale, ma molto di autentico. Pioggia, freddo, buio, fango: la “setta dei cani” non salta un giorno. In inverno ci si stringe sotto l’unico lampione, figure infreddolite e incappucciate che però non rinunciano al ritrovo: un piccolo rito, un’abitudine che diventa rifugio. I cani - Lara, Simba, Rea, Zac, Camilla, Dea, Boris, Rio, Nana, Mirka, Esopo, Bacco, Oliver, Gianni, Draco e tutti gli altri (ho già scritto che sono belli i nomi dei cani?) - non vorrebbero mai uscire. E nel loro sguardo si capisce tutto: questo pezzo di terra, al confine tra città e campagna, vale più di mille salotti, perché in mezzo a fango e freddo è nato qualcosa che somiglia a una comunità, semplice e ostinata. Che strana magia: si entra per amore degli animali, si esce un po’ più umani

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