Il Covid ha spento le luci di Singapore

Selene Lombardi, 27 anni, di Casale, vive e lavora dal 2018 nella megalopoli asiatica

Lontana da casa, ma sempre vicina alla sua famiglia. Da Singapore a Casalpusterlengo c’è la distanza di un grande cuore che pulsa e annulla ogni confine. Questa è la storia della 27enne Selene Lombardi. Vuoi raccontarci la tua? Scrivi a [email protected]

Selene, che ci fai a Singapore?

«Vivo a Singapore da quasi due anni con il mio ragazzo. Ci siamo trasferiti qui ad agosto 2018 a seguito di un’ottima offerta di lavoro che ho ricevuto da una agenzia pubblicitaria, come Account Manager per gestire alcuni dei loro clienti. Il mio fidanzato invece è un Software Developer. Da allora, sono tornata in Italia circa una volta l’anno, tenendo stretti rapporti con i miei familiari. L’ultima volta a dicembre per festeggiare Natale tutti insieme. A Capodanno ho preso un volo verso Singapore. Due giorni dopo essere atterrata, si è iniziato a sentir parlare del virus».

Un’emergenza che ha anticipato quella dell’Italia e soprattutto della Bassa…

«Singapore è un importantissimo centro per il commercio e i trasporti in Asia, con uno dei porti più grandi al mondo, e uno degli aeroporti chiave per il sud-est asiatico. Non è quindi strano che sia stato uno dei primi paesi in cui il virus è arrivato fuori dalla Cina. A gennaio, Singapore ha attivato stringenti controlli all’aeroporto della città, riuscendo a identificare e mettere in quarantena all’arrivo diverse persone contagiate. Il 7 febbraio, dopo il primo caso di focolaio tra la popolazione, il governo ha alzato l’allerta ad arancione. Molti sono andati nel panico e per la prima volta abbiamo visto i supermercati svuotati in pochi ore. Le famiglie hanno fatto scorta di noodles istantanei e, chissà perché, hanno comprato montagne di carta igienica. Al 17 febbraio, c’erano 77 casi accertati. Un numero oggi irrisorio, ma che in quel momento sembrava molto preoccupante. Il governo è riuscito nell’importante impresa di contact tracing, con cui sono riusciti a risalire ai contatti di ogni singola persona contagiata, e a delineare i loro movimenti, pubblicandoli anonimamente sul sito governativo e tenendo traccia di ogni connessione tra contagiati. Questo ha permesso di mettere in quarantena preventiva migliaia di persone, e rallentare il contagio nelle popolazione fino quasi a fermarlo».

Posso comprendere la preoccupazione iniziale della tua famiglia…

«La mia famiglia in quel momento era in allarme, e mi chiedeva di tornare in Italia. Nessuno si sarebbe aspettato che nel giro di pochi giorni, la situazione si sarebbe ribaltata. Il 21 febbraio sono andata al lavoro in pullman, come al solito, e scorrendo le notizie ho letto del paziente positivo al virus all’ospedale di Codogno. Un colpo al cuore. Com’era possibile che fosse arrivato proprio a Codogno?»

E così hai visto la situazione “capovolgersi”…

»Già. In pochi giorni l’Italia aveva superato i numeri di Singapore, e anzi, li faceva sembrare irrisori a confronto. Quando è stata istituita la “Zona rossa”, ho visto i nomi delle città dove sono cresciuta arrivare persino sulle pagine dei giornali di Singapore. Per qualche settimana anche qui tutti gli occhi sono stati puntati sul Lodigiano».

Intanto, a Singapore?

«A marzo, il problema restava contenuto, con tutte le attività aperte. Uscivamo ancora con gli amici nei bar e ristoranti, passavamo il weekend in piscina (ogni condominio privato ha una piscina e una piccola palestra per i condomini) e facevamo scorta di libertà, visto che il blocco sembrava imminente. Andavamo al lavoro, ma molte attività già dividevano il team in due parti, che si recavano in ufficio in giorni alterni. Poi a inizio aprile anche Singapore ha chiuso tutto. Negozi, scuole, uffici, bar. Chissà perché i barbieri e parrucchieri sono rimasti aperti. Da allora la nostra esperienza di quarantena è molto simile a quella italiana: si lavora da casa e si esce solo per fare la spesa o per una passeggiata in solitaria».

Immagino che in questo periodo i contatti con la tua Casale si siano moltiplicati…

«L’unica cosa da fare è tenersi in contatto con la propria famiglia e farsi compagnia con continui aggiornamenti. Ognuno con il suo stile. Le nonne Anna e Imperia, che hanno appena iniziato a usare lo smartphone, non vedono l’ora di fare una videochiamata. Dalia, mia sorella, impegnata tra lavoro e università, riesce a ritagliare qualche chiacchierata tra una video lezione e l’altra. Lo zio Carlo è quello che ci mette più impegno: ogni mattina manda un aggiornamento sulla giornata, dagli avvenimenti più personali su come la zia l’abbia convinto a ridipingere la casa in quarantena, al suo commento sugli avvenimenti politici e sociali, fino all’emozione di poter rivedere la Juve giocare. Nel buio di questo periodo, questo appuntamento quotidiano è una splendida distrazione. Speriamo di vedere questo capitolo chiudersi molto presto, ma soprattutto, non vediamo l’ora di rivedere le nostre famiglie».

© RIPRODUZIONE RISERVATA