Carlo, un fisico prestato agli Stati Uniti

Il 29enne di Pieve ha vissuto l’emergenza lavorando in un centro universitario di Atlanta

Tra Atlanta e dintorni, in Georgia, vive una popolazione di 10 milioni di abitanti. E tra loro c’è anche Carlo Perini, originario di Pieve Fissiraga e volato negli States per svolgere il proprio post dottorato in Material Science and Engineering. Il 29enne lavora allo sviluppo di un materiale chiamato “Perovskite”, che può esser impiegato per fare celle solari e pannelli fotovoltaici e che promette di aumentare le efficienze di conversione da luce solare ad energia elettrica oltre i limiti attuali. Carlo è il protagonista della nostra nona puntata di “Voci oltre confine”.

Parlaci di te...

«Mi chiamo Carlo Andrea Riccardo Perini e vivo ad Atlanta, in Georgia. Lavoro al Georgia Institute of Technology, conosciuto come Georgia Tech da studenti ed alunni, una delle migliori università nel campo “Material Science”. Vivo in una zona residenziale ad est del centro città. Per intenderci, le tipiche villette a schiera con un bel giardino curato che si vedono molto spesso nei film americani».

Quando sei arrivato ad Atlanta?

«A fine settembre, dopo aver completato un PhD (dottorato, ndr) in fisica al Politecnico di Milano. Sono stato fortunato: ho avuto modo di ambientarmi, conoscere la zona e persone prima del lockdown».

Hai mai pensato di tornare a casa?

«Qui per fortuna i viaggi di rientro per l’Italia sono sempre stati possibili, anche se con qualche complicazione: a un certo punto voli diretti per Milano non c’erano e per rientrare avrei dovuto scegliere la tratta Atlanta-New York-New York-Roma, seguito da treno Roma-Milano. Ho deciso spontaneamente di restare in America. In parte per evitare il rischio di contagiare i miei genitori ed in parte per una questione di reperibilità: molta della strumentazione da noi utilizzata in laboratorio è delicata e con il lockdown necessitava di persone disponibili a fare controlli periodici. Era opportuno rimanessi raggiungibile».

Come sei stato accolto dal tuo paese “adottivo”?

«Gli Usa sono uno Stato multiculturale, e il Georgia Tech lo è ancora di più. Atlanta è una città giovane: è cambiata completamente negli ultimi 10 anni, attraendo business e crescendo a ritmi esponenziali. Quando incontri qualcuno per strada nel 70 per cento dei casi si è trasferito qui a un certo punto della propria vita. Si finisce per interagire con persone da tutto il mondo, e tutti cercano di darsi una mano vedendosi nella stessa situazione. L’essere italiano non ha fatto che semplificarmi la vita. Noi italiani negli Usa siamo adorati, nonostante spesso in Italia ci si convinca del contrario. Sono rimasto sorpreso».

Ci sono stati anche aspetti negativi?

«Ciò che più mi ha colpito e mi ha fatto rimpiangere l’italia è il settore sanità. Ho avuto la sventura di non stare bene appena arrivato e di dover richiedere una visita medica. Nonostante avessi un’assicurazione medica fra le migliori, ho dovuto pagare cifre significative, e mi sono trovato ad interagire con persone che mi vedevano più come fonte di guadagno che come persona da curare. Non vorrei essere un americano durante questa pandemia: se si perde il lavoro si perde anche l’assicurazione sanitaria ad esso associata, e i giorni di permesso per malattia sono molto limitati, con il risultato che molti si trovano ad andare a lavoro anche se malati».

A proposito di emergenza, credi che la situazione legata al Covid-19 sia stata presa sul serio?

«Mi sembra che l’emergenza qui non sia particolarmente percepita, la paura principale sembra essere il trovar chiuso il ristorante o il pub preferito, mentre parchi e pub sono pieni di persone. La diffusione del Covid in Georgia sembra comunque contenuta, anche se i dati ufficiali, a mio avviso, non sono da ritenere particolarmente affidabili. Il numero di test fatti è limitato e la popolazione è dissuasa dall’andare in ospedale a causa degli elevati costi sanitari. La situazione è gestita molto bene dalle grandi imprese, con incentivi ai dipendenti a far telelavoro e con iniziative per limitare al massimo il numero possibile di contatti. In Università la situazione è simile. Il Georgia Tech ha già confermato on line le lezioni del prossimo semestre e le attività di ricerca non riprenderanno prima della fine di giugno, e solo dopo aver garantito il rispetto del distanziamento sociale nei laboratori. Queste decisioni sono però state prese a livello locale e non governativo. Brian Kemp, il governatore della Georgia ha infatti deciso di seguire le direttive del presidente Trump riaprendo immediatamente tutte le attività, palestre e barbieri inclusi».

Tu come trascorri le tue giornate?

«Lavoro prevalentemente al computer, scrivendo progetti o analizzando dati raccolti negli scorsi mesi. Cerco di non uscire se non quando necessario e I miei coinquilini fanno lo stesso. Mi intrattengo come posso, ho la fortuna di vivere in una villetta con giardino. Ci siamo messi a far migliorie in casa ed abbiamo iniziato a coltivare un orto».

Il virus ti ha causato limitazioni a livello lavorativo?

«Senza dubbio. Come post-doc la mia preoccupazione principale dovrebbe esser quella di rimanere in laboratorio a raccogliere dati per poi scrivere nuove pubblicazioni. Così invece sono rimasto bloccato, anche se sto cercando di andare comunque avanti analizzando vecchi dati. Mi ritengo fortunato visto che ho ancora uno stipendio ed un lavoro per i prossimi mesi».

Prospettive future di rientro in patria?

«Vorrei rientrare in Italia in futuro. Ad ora il mio contratto in Usa termina a inizio ottobre, in teoria, dovrei rinnovarlo per altri due anni. Vedremo nei prossimi mesi cosa succederà e cosa deciderò di fare».

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