Vietato vietare: la legge c’è, ma non viene applicata

di Corrado Sancilio

Quando si è chiamati a dirigere una scuola, si è anche chiamati a tenere in ordine un ambiente, a gestire risorse professionali e bilanci finanziari, a tenersi aggiornati sulle norme, ma cosa talvolta assai difficoltosa, ad applicarle e a farle applicare. Un ambiente scolastico difficilmente potrà armonizzarsi con un preside dalla mente d’artista e questo perché un vero artista ama il disordine poiché trova in esso uno spirito creativo.

La creatività è direttamente proporzionale al disordine mentale. La storia dell’arte in questo ci offre grandi esempi di artisti con le “clavicole” fuori posto, ma sempre grandi. In poche parole un artista è obbligato a vagare nel disordine, cosa non possibile a un preside.

Un preside non può essere un artista; non può avere le idee confuse e né la creatività può cercarla nel caos che dalle sue disposizioni possono originare. Un preside è obbligato a tenere tutto in ordine.

Fatta questa premessa, mi chiedo perché mai il mio collega del liceo linguistico “Manzoni” di Milano ha deciso di riservare agli studenti uno spazio esterno nel cortile dove poter fumare liberamente? Eppure la legge dice esattamente il contrario. L’art. 4 del D.L. 12 settembre 2013, n°104 dice: «All’art.51 della legge 16 gennaio 2003, n°3 dopo il comma 1 è inserito il seguente: “1bis. Il divieto di cui al comma 1 è esteso anche alle aree all’aperto di pertinenza delle istituzioni scolastiche statali e paritarie”».

Dunque è vietato fumare anche all’aperto e i cortili non possono avere zone franche. E allora? E visto che ogni testo di legge si conclude con: «E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato» come mai il mio collega non la osserva e non la fa osservare? Che sia pure lui un artista? Il caso, come tradizione vuole, è finito sui giornali.

È pur vero che i bagni, da qualche anno a questa parte, sono diventati un “bene rifugio” per gli studenti fumatori, ma ciò non giustifica la decisione di lasciarli fumare all’aperto. Per il mio collega meglio rischiare, meglio passare dall’esperienza legalizzata inserita in un programma di prevenzione che assistere ad assembramenti in luoghi destinati ad altro uso.

«La legge è velleitaria - sottolinea il mio collega -. Mancano gli strumenti per attuarla. Nessun proibizionismo ha mai funzionato. Serve invece comunicare ai ragazzi l’importanza di smettere». Evidentemente fa suo il pensiero di Honoré de Balzac, scrittore e saggista francese dell’ottocento, secondo cui «se le leggi lasciano troppa poca libertà, i popoli se ne vendicano nei loro costumi» e qui ci sono ragazzi ed educatori che si stanno vendicando per una legge ritenuta restrittiva.

Ma «la zona franca fa parte di una strategia più ampia che prevede corsi di prevenzione al tabagismo» chiarisce il preside, secondo cui il dialogo sta funzionando e il numero dei fumatori minorenni, nel suo istituto, pare diminuire. Mah? Mi spiace caro collega, ma questa tua interpretazione socio-pedagogica non mi convince. Per Roberto Boffi, responsabile della Pneumologia e del Centro antifumo dell’Istituto Tumori di Milano «l’Italia è il Paese europeo dove il 37% degli adolescenti tra i 15-16 anni fumano».

Ancora una volta sono portato a pensare che pur nelle nostre vesti di pubblici ufficiali, con certe discutibili scelte, lanciamo messaggi educativi confusi e contraddittori.

Cosa potranno pensare i ragazzi di fronte a questa applicazione “artistica” della legge contro il fumo nelle scuole. Che una legge può essere aggirata facendola passare come propedeutica a un processo formativo; che un divieto può essere interpretato fino a trovare esecuzione mediante iniziative esattamente contrarie al divieto stesso; che educare i ragazzi a vivere con disinvoltura e pressappochismo concetti e valori di un certo spessore etico riesce meglio che a educarli a vivere nel rispetto di se stessi e degli altri. Questo modo di procedere finisce con l’educare i ragazzi alla trasgressione tollerata perché trova comunque una sua giustificazione.

È lo stile sociale di oggi. Relativismo culturale, violazione di norme, di diritti e doveri, presunzione educativa, personalistiche interpretazioni fanno della realtà di oggi un coacervo di convincimenti che mettono seriamente in crisi i rapporti tra ragazzi e adulti. Trasformare una scuola in un social club dove i ragazzi sono intesi come clienti, dove l’impegno educativo si trasforma in iniziative gradite ai clienti, dove la trasgressione legalizzata può trasformarsi in una forma vincente di interazione sociale, porta ad uno sfascio educativo dai preoccupanti risvolti. Siamo già di fronte a discutibili iniziative.

Abbiamo già delle scuole dove per educare i ragazzi all’educazione sessuale si installano macchine distributrici di preservativi; devo forse pensare anche a scuole dove per educare i ragazzi a smettere di fumare si potranno un domani installare macchine distributrici di sigarette? Oppure scuole dove per aiutare i ragazzi a disintossicarsi si potranno installare macchine distributrici di “cartine d’erba”? Ma la scuola per vocazione non è forse chiamata a insegnare ai ragazzi a scrivere, a leggere e a far di conto? Non è forse chiamata ad insegnare ad apprendere?

Lo scontro su questo è palpabile. Da una parte la scuola come comunità sociale, dall’altra la scuola dei processi di apprendimento. E’ più facile avere ragione mediante le strategie delle educazioni o mediante il sistema degli apprendimenti? Chi ha ragione? Chi torto? Chiamo in causa il filosofo Karl Popper: «All’uomo irrazionale interessa solamente avere ragione. All’uomo razionale interessa imparare».

*preside dell’Istituto “Agostino Bassi” di Lodi

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