Sul grano rischio speculazioni e necessità di nuove regole

Il commento di Andrea Zaghi

Speculazioni. È questa la parola che deve essere indicata per sintetizzare quanto sta accadendo nell’ambito dei mercati cerealicoli mondiali a seguito del no della Russia al rinnovo dell’accordo sul grano che ha, di fatto, bloccato una delle vie commerciali più importanti per questa materia prima. Speculazioni che si intrecciano con oggettive condizioni di produzione, ma anche con la necessità di materia prima un po’ in tutto il mondo. Una situazione esplosiva per certi versi, che, tuttavia, deve essere guardata con attenzione per non farsi trarre in inganno dallo stesso timore (legittimo) di dover far fronte a prezzi altissimi uniti alla scarsità degli alimenti.Per capire qualcosa di più è, per esempio, possibile partire dalla fotografia scattata da Coldiretti all’indomani del diniego di Mosca al rinnovo dell’intesa. Il mancato accordo - è stato spiegato dai coltivatori -, interrompe, per quanto riguarda il nostro Paese, un flusso di quasi 2,1 miliardi di chili di mais per l’alimentazione animale, grano tenero e olio di girasole. Oltre a questo, “lo stop al passaggio delle navi cariche di cereali sul Mar Nero alimenta il rischio carestia in 53 paesi dove, secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione”. Con tutto ciò che una condizione del genere può determinare dal punto dio vista della stabilità sociale di vaste aree del mondo.

Ciò che sta accadendo, tuttavia, non si esaurisce in questi termini. Ed è proprio qui che lo spettro delle speculazioni si allunga pericolosamente di fatto su tutti i mercati mondiali. Stando alle stime Onu, l’accordo tra Russia, Turchia e Ucraina ha consentito di trasportare circa 33 milioni di tonnellate di alimenti permettendo un abbattimento pari a circa il 14% del prezzo mondiale dei cereali. L’effetto di quanto accaduto qualche giorno fa, tuttavia, potrebbe non essere solo un nuovo aumento dei prezzi ma qualcosa di più complesso. Da un lato, infatti, molti paesi che avevano adottato politiche di restrizione alle esportazioni dei propri cereali, e che avevano cambiato atteggiamento nel periodo dell’accordo, adesso potrebbero chiudere nuovamente le frontiere nel timore di rimanere senza materie prime per i propri mercati interni. L’effetto di decisioni di questo genere, sarebbe certamente un aumento delle quotazioni internazionali. Dall’altro lato, però, le previsioni dei raccolti mondiali appaiono positive: una previsione che, se confermata, potrà contribuire a contenere la crescita dei prezzi. Anche sul fronte della produzione, d’altra parte, l‘oggettività dei dati si confronta con la soggettività dei giudizi e delle previsioni oltre che con le condizioni locali. Italmopa - l’associazione che in Italia raccoglie le industrie dei molini -, ha per esempio già fatto sapere che per il grano duro il raccolto di quest’anno presenta “significative criticità sotto il profilo qualitativo” a causa dell’andamento climatico non sempre favorevole che ha toccato anche il livello quantitativo della produzione prevista.

È proprio in questo campo complesso e non limpido costituito dal gioco dei prezzi sui diversi mercati, che le speculazioni hanno spazio per crescere e svilupparsi. Per capire meglio anche in questo caso basta qualche esempio. La Russia ha annunciato che sta lavorando a nuove rotte per le forniture di grano dopo la fine dell’accordo del Mar Nero e che ai Paesi africani “saranno date garanzie” sulla loro richiesta di prodotti agricoli al vertice Russia-Africa che si terrà a San Pietroburgo alla fine di luglio. In Italia, intanto, c’è chi si è già messo a fare i conti. Secondo Assoutenti “lo stop della Russia all’accordo Onu per l’export alimentare dell’Ucraina, i raid che hanno distrutto 60mila tonnellate di grano e il crollo della produzione fino al 60% per gli effetti del clima, rischiano di scatenare uno tsunami che si riverserà direttamente sulle tasche delle famiglie”. In numeri significherebbe che un nucleo di 4 persone che oggi spende in media in Italia 1.320 euro annui per pane e cereali, con un aumento dei prezzi al dettaglio del 10% per i prodotti derivati dal grano determinerebbe una maggiore spesa da +132 euro annui a famiglia solo per costi diretti.

Speculazioni, dunque. E andamenti di mercato presunti oppure concreti. Condizioni che davvero pongono l’Italia, l’Europa e il mondo di fronte alla necessità di mettere mano a regole di mercato nuove per le materie prime di base. Una prospettiva che vale per gli alimenti e per l’energia.

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