Silenzioso, offerto e umile: la giusta misura dell’amore

Una riflessione nei giorni del Congresso Eucaristico di Lodi

L’amore ha infiniti volti, innumerevoli tratti, una gamma inesauribile di declinazioni, angolazioni e orientamenti. L’amore possiede quella straordinaria capacità di incarnarsi nelle più differenti situazioni e condizioni: esso abita lo spazio intimo tra due sposi, esso dimora nell’intesa a pelle di due amici, in quei legami che si instaurano tra due esseri umani; esso è presente quando siamo appena venuti al mondo, in quella speciale cura che ogni genitore riserva a suo figlio; esso è ancora presente quando la vita esplode in età giovanile o quando si fa più pacata in età adulta o quando ancora essa diviene lenta e dolente nella vita che conduce al tramonto. L’amore sa animare tratti diversi della nostra vita, sa accendere il tempo della gioia così come quello della tristezza e del dolore. Non c’è attimo nelle nostre esistenze in cui esso non possa diventare fermento di vita, lievito di speranza e motivo di comunione.

Eppure, in questo movimento persistente di sbilanciamento e di donazione, esso è come se lasciasse spazio a percorsi diversi, a tonalità progressive, a intensità che nel tempo riescono ad assumere gradazioni sempre più vive e penetranti. Vi è un amore che è dinamismo potente di accoglienza e dono, che sa svuotare la propria anima affinché l’altro sia sazio, pieno, soddisfatto. È un gesto generoso, eccedente, coraggioso, che non bada a spese e sprechi, che dona tutto quanto può donare senza chiedere nulla in cambio, senza pretese né vincoli, senza scambi né ragioni. Questo amore è un gesto che trova in sé stesso il senso e la misura del dono, che scopre in sé la sorgente e la meta, che ama per amore, semplicemente, radicalmente, totalmente. È un amore profondo, intenso che stabilisce la sua misura guardando al suo stesso desiderio, a quell’impulso vitale che esso sperimenta in sé stesso.

Vi è poi un amore “ulteriore”, forse meno gagliardo, ma non per questo meno vero e passionale. È un amore più mite, più umile e nascosto, più dolce e temperato che è meno sensibile al vigore di chi ama e più attento alla sensibilità di chi è amato. Questo amore non determina più la “giusta misura” in sé stesso ma la cerca nel cuore dell’altro, in quello che l’altro è in grado di accogliere, comprendere e ricambiare. Questo “strano” amore è capace di limite, di silenzio, di sosta, di ascolto ed accoglienza; esso sa dosare il passo non sull’intensità del proprio sentimento bensì sulla grandezza dell’animo altrui, sulla profondità del cuore che gli sta dinanzi, sul limite che l’altro sa sostenere. È un amore che talvolta conosce il tempo della insoddisfazione, della sofferenza, dell’incomprensione perché l’altro, sul quale egli misura il proprio amore, spesso non è all’altezza del proprio desiderio, non sa restituire quanto donato con magnanimità, non sa accogliere quell’eccesso che viene elargito. Ciononostante, questo amore dimora gli abissi dell’umano perché è l’unico in grado di onorare la presenza dell’altro, di amarlo senza divorarlo, di sostenerlo senza imprigionarlo, di stimarlo senza vincolarlo.

Questo amore così umano, e allo stesso tempo così divino, forse è proprio quello che nei giorni del Congresso Eucaristico contempliamo custodito in un pezzo di pane consacrato: è quell’amore silenzioso, sempre offerto, umile, che non si impone, che sa rispettare, che è immensamente accogliente ed ospitale, che non prevarica, non vincola, non straborda ma sa offrire quella giusta misura, pigiata e scossa affinché l’altro possa essere.

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