Rinvio della riforma Cartabia, l’Italia si scontra con i soliti “vizi”

Un tema di assoluta rilevanza per il governo Meloni

Rinvio della riforma Cartabia. Per comprenderne l’estrema rilevanza e delicatezza, basti pensare che il primo Consiglio dei ministri del nuovo Governo Meloni ha esordito proprio occupandosi di tale tematica e con lo strumento del decreto legge, l’atto normativo adottato in casi di straordinaria necessità e urgenza. Lo scorso 31 ottobre, difatti, oltre all’introduzione della censurabile nuova disposizione che servirebbe a perseguire organizzatori e partecipanti ai “rave party” (ma che, nella sua rivedibile formulazione attuale, si estenderebbe a ben altri fenomeni) e all’anticipo della scadenza dell’obbligo vaccinale per il personale esercente le professioni sanitarie, il Governo ha rinviato al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore del Decreto 150/2022, attuativo della Riforma Cartabia sulla giustizia penale. Il primo dato di rilievo, a parere di chi scrive, è l’ennesima dimostrazione di mancanza di serietà di un rinvio di una normativa - atta a incidere cospicuamente sulla quasi totalità dei procedimenti penali in corso - disposto a nemmeno 24 ore della sua entrata in vigore, ossia al fotofinish e in un momento in cui i professionisti preparati già si apprestavano ad applicare le nuove disposizioni. La riforma della giustizia penale, impacchettata dalla Ministra della giustizia del precedente Governo Draghi, Marta Cartabia, accanto a numerose norme che possono essere accolte con assoluto favore da magistratura e da avvocatura (tra cui la disciplina delle nuove pene sostitutive), presenta delle chiare ombre (una su tante, il netto aumento delle inammissibilità delle impugnazione contro le sentenze) e una disciplina intertemporale carente e suscettibile di interpretazioni opposte da un foro all’altro dello Stivale.

Ciononostante, la Riforma Cartabia non è stata certo un fulmine a ciel sereno, ma è sorta a seguito di una legge delega di oltre un anno fa (27 settembre 2021) e dell’alacre opera di numerose commissioni, i cui lavori sono stati oggetto di discussione degli addetti per mesi e mesi.

Per tale ragione, non solo appare inopportuno il rinvio in extremis, ma ancor più perplime che tale richiesta sia giunta al nuovo inquilino di via Arenula, Carlo Nordio, da varie frange della magistratura, che lamentavano come i propri uffici non fossero pronti a darne attuazione.

L’impreparazione di uffici pubblici, a fronte di una normativa già pubblicata in Gazzetta Ufficiale, però, non può certo ricadere sul cittadino e sul rispetto dei diritti fondamentali, come quelli messi in discussione in un processo penale (in primis, ma non solo, la libertà personale). E così, in vari Tribunali sparsi per il Paese, si sono registrati numerosi rinvii delle udienze, disposti d’ufficio dai giudici o chiesti dagli avvocati, tutti successivi al 30 dicembre, in attesa dell’effettiva entrata in vigore della riforma.

La Camera Penale di Milano ha, invece, sostenuto la necessità di applicare fin d’ora, nonostante il rinvio disposto dal decreto, le disposizioni favorevoli agli indagati o agli imputati della riforma, ritenendo incostituzionale una interpretazione differente.

In ogni caso, in conclusione, la Riforma Cartabia vedrà sicuramente la luce - magari con alcuni auspicabili aggiustamenti - entro la fine dell’anno, poiché in ballo c’è il rispetto del PNRR e quindi l’arrivo nelle casse dello Stato di cospicui fondi europei. Certo è che la scelta del rinvio sta di fatto causando più problematiche nelle aule di giustizia penali rispetto a quelle che sarebbero scaturite da un naturale adattamento di una riforma di tale portata. 

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