Quell’italica ossessione della brutta figura, che qui non c’è

di Caterina Belloni

Paese che vai, abitudini che trovi, si sa. Ma a volte scoprire le differenze aiuta a mettere a fuoco problemi che in patria non emergono, perché sono così diffusi da perdere la loro connotazione negativa. A portarmi a questa riflessione è stata una conversazione recente con un paio di amiche di mia figlia. Si discuteva delle apparenze, dello stile, dei comportamenti degli adolescenti. E mi è venuto da commentare che spesso fanno davvero delle brutte figure. Le ragazzine non mi hanno capito, così ho cercato di spiegare loro il significato di questa espressione, che in Italia si impara probabilmente già a due anni, quando a tavola ti comporti male e i genitori ti minacciano perchè gli stai facendo fare appunto una “brutta figura” con i parenti. Ho usato vocabolario ed espressioni tipiche, ho mimato, sono ricorsa al linguaggio italico per eccellenza, cioè la gestualità, ma non riuscivamo a capirci. Poi ho intuito perché. Semplicemente per il fatto che in Gran Bretagna il concetto della bella o brutta figura non ha nulla a che fare con l’ossessione propria della maggior parte degli italiani. La gente da queste parti non si preoccupa granché di cosa penseranno i vicini, i conoscenti o gli amici.

Ognuno agisce secondo la sua coscienza o il suo tornaconto, senza farsi vincolare dal giudizio altrui. Per questa ragione le mamme in ritardo infilano il cappotto sul pigiama e portano i figli a scuola così abbigliate, rientrando a casa e acconciandosi per bene più tardi. Per lo stesso motivo i bimbi arrivano a scuola con macchie sulla divisa, che da noi sarebbero considerate inaccettabili e segno di sciatteria o scarsa cura del decoro. Per la medesima ragione, poco importa se la casa è in disordine quando si fanno entrare amici e vicini per due chiacchiere o un piatto di curry tutti insieme.

Da quando sono arrivata, quasi ogni mattina, vedo la mia dirimpettaia che esce nel suo cortile a portare l’immondizia indossando una vestaglia. All’inizio mi sembrava folle, poi mi sono abituata, a lei e alle tante come lei, e ora la cosa non mi tocca più. Quando penso alla signora Kate, ragiono su quello che mi ha raccontato di recente, sul suo lavoro, sui progetti che mi ha annunciato per le vacanze. Qui gli abiti non hanno peso, l’impressione esteriore nemmeno.

Dopo questa specie di rivelazione, ho deciso di ritornare alla conversazione con le ragazze. Quando sono riuscita a far capire loro tutta la questione, mi hanno guardato con aria sorpresa. Perché questa tendenza esagerata a ragionare su brutte e belle figure, finisce secondo loro per limitare la libertà di azione, movimento e anche espressione.

Una lezione che forse andrebbe imparata anche da noi e che invita a ritornare un po’ più sulla sostanza delle cose e delle persone. Non che io intenda uscire in piazza Vittoria in pigiama o mandare a spasso le mie ragazze con macchie sul vestito e pantofole, ovvio. Ma in un’Italia che spesso concentra le sue valutazioni (fondate sul calcolo e il bilanciamento tra belle e brutte figure) solo sull’esteriorità, un po’ di approccio british non guasterebbe.

Basterebbe un po’ di equilibrio per non farci imbambolare da chi punta tanto sulle apparenze e poi, magari dopo le elezioni, si rivela l’opposto. O non staremmo più a credere ai personaggi che alla fine sono “tutti chiacchiere e distintivo”. Perchè, in fondo, l’ossessione della bella figura rischia di funzionare come gli specchietti che i conquistatori mostrarono ai nativi americani. Per imbambolarli, fargli baluginare di fronte l’illusione di cose meravigliose, e poi portagli via le cose concrete, e veramente belle, che possedevano.

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