Quel maledetto cestino lanciato in faccia alla prof

di Corrado Sancilio

Ho trovato molto interessante il recente articolo di Massimo Gramellini, una delle più prestigiose firme del giornalismo italiano, che senza peli sulla lingua descrive lo “sfascio in cui versa la scuola” e tutto per colpa di quel maledetto cestino dell’immondizia lanciato in faccia alla professoressa seduta in cattedra mentre impassibile, se non addirittura rassegnata, almeno così sembra in apparenza, mette i voti sul registro elettronico. Il filmato, che ha fatto il giro delle rete, contribuisce a rafforzare l’idea che qualcosa non va nelle nostre scuole. È pur vero che di ragazzi come questi dell’Istituto Professionale Galilei di Mirandola, nel Modenese, ce ne sono tanti sparsi nelle nostre scuole pronti a umiliare se non addirittura a ridicolizzare gli insegnanti, falsando, di fatto, l’impressione che della scuola in generale si può avere. Questi ragazzi sono figli dei nostri tempi avvezzi, come sono, ad essere valorizzati nelle loro “strepitose imprese” talché la preoccupazione prima dell’autore del filmato, è stata quella di informarsi se da quelle immagini, molto cliccate sui social, non si potesse guadagnare qualcosa. Nello specifico episodio stiamo parlando di un ragazzino di quindici anni già noto alle forze dell’ordine nonché ai servizi sociali per via di un pestaggio ai danni di un bambino di undici anni, autore tra l’altro nel recente passato anche di una rapina, conseguenza di un forte disagio famigliare che vede nello sfascio della famiglia la causa prima delle sue violenti “sbandate”. Se da una parte è bene non generalizzare, dall’altra simili episodi ci pongono di fronte a una severa constatazione.

Fare l’insegnante oggi, con questi ragazzi, significa prima di tutto essere catturati da una decisa motivazione, da un innegabile senso del ruolo che si va a ricoprire in un contesto dove emerge, a tratti, lo sfaldamento di determinati valori, nel passato riconosciuti e difesi. La nostra società, con tutte le sue contraddizioni, rende l’opera degli educatori alquanto ardua e questo richiede, a maggior ragione, una particolare accortezza nell’affidare certi delicati incarichi educativi. Talvolta capita di vedere persone giuste nel posto sbagliato, ma anche persone sbagliate nel posto giusto e questo determina una condizione di disagio professionale che se non controllato finisce per scaricare sulla società responsabilità professionali che sono proprie.

L’insegnante viene descritta da Gramellini come una «vittima muta e inerte di un oltraggio inaccettabile, ma evidentemente considerato ineluttabile». Molti insegnanti mostrano stanchezza nell’affrontare questi ragazzi le cui scemate diventano patrimonio scolastico e sono lì a dimostrare il decadimento di certi valori come il rispetto della persona. Dell’episodio rimane non solo la denuncia di oltraggio a un pubblico ufficiale oltre che di interruzione di pubblico servizio, ma anche e soprattutto rimane l’amarezza di un disordine sociale che fa della convivenza civile una realtà più rispondente alle scorribande e meno attenta alla dignità di una persona a cui sono affidati compiti, ruoli e funzioni decisamente importanti proprio per il buon funzionamento della società.

L’insegnante che ha ricevuto il cestino in faccia merita il massimo della solidarietà e della vicinanza soprattutto da parte di chi ha a cuore questa delicata professione, tuttavia individuare persone giuste al posto giusto rimane uno dei compiti primari demandati alle istituzioni. E allora avanti col premiare chi riesce a entusiasmare, chi consente a far emergere ciascuna individualità, chi esalta e valorizza i ritmi dei processi formativi di ciascun allievo. Un lavoro che non è da tutti proprio perché non tutti sentono l’importanza di questo lavoro, non tutti sentono la delicatezza di questo ruolo istituzionale determinante per un’ordinata convivenza civile. Per molti aspirare a fare l’insegnante vuol dire aspirare a insediarsi su un posto fisso.

C’è chi sottolinea la necessità di riportare ordine là dove regna il disordine e le classi delle scuole di oggi sono un ricettacolo di disordine, specchio di una società vuota che assiste impassibile alla metamorfosi della primaria istituzione educativa: la famiglia. Ora si parla di una punizione esemplare quale risposta da offrire alla famiglia e questo in aperto contrasto con le direttive di una società che non ama prendere posizione. Anzi vede «nella via della comprensione, della tolleranza e persino della dolcezza», come sottolinea la preside del Galilei Milena Prandini, scesa in campo a difendere la docente colpita dal cestino, la strada del recupero formativo, sociale ed educativo dei cosiddetti “ragazzi difficili”.

Sembra essere di fronte a una missione impossibile specialmente quando in classe oltre ai cestini che volano, si vedono alunni stravaccati sulla sedia, ascoltare musica con l’auricolare, parlare tranquillamente al telefono, uscire dalla classe senza permesso, sbattere la porta in segno di disprezzo. Che abbia ragione il nostro Platone secondo cui «un ragazzo è, di tutte le bestie selvagge, la più difficile da trattare»?

*preside dell’Istituto “Agostino Bassi” di Lodi

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