PRIMO MAGGIO I giovani e il lavoro povero al centro del nostro agire

L’editoriale di Riccardo Rota, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale

“I dati sull’occupazione in Italia mettono in luce un fatto assai preoccupante: circa un quarto della popolazione giovanile del nostro Paese non trova lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno. Il quadro ci deve interrogare su quanto la nostra società, le nostre istituzioni, le nostre comunità investono per dare prospettive di presente e di futuro ai giovani. Essi pagano anche il conto di un modello culturale che non promuove a sufficienza la formazione, fatica ad accompagnarli nei passi decisivi della vita e non riesce a offrire motivi di speranza.” Con questa fotografia inizia il messaggio dei vescovi italiani per la festa dei lavoratori dal titolo “Giovani e lavoro, per nutrire la speranza”. Analisi coerente con le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nell’intervento al distretto di Meccatronica di Reggio Emilia in cui ha ricordato la centralità del lavoro che si afferma anche nella Costituzione: «Il lavoro è un diritto e lo stesso Luigi Einaudi - rigoroso maestro liberale di economia - in risposta all’appello di Giorgio La Pira “in difesa della povera gente”, in cui indicava la lotta alla disoccupazione e lo sradicamento della miseria come impegno primario dello Stato, affermava che “lo Stato moderno ha come primo compito di non creare disoccupazione e miseria. Il lavoro è anche un dovere. Ce lo ricorda l’art.4 della Costituzione”. Ecco perché, “ampliare la base del lavoro, e la sua qualità, deve essere assillo costante a ogni livello, a partire dalle istituzioni».

Di fronte a questo quadro condiviso occorre che anche nel nostro territorio si estendano al massimo gli sforzi per creare le migliori condizioni di risposta alla “fame” di lavoro e alla voglia di futuro, soprattutto dei giovani. Nel rispetto del ruolo e dei compiti di tutti è ben chiaro che il lavoro è qualcosa che nasce dove c’è impresa ed imprenditorialità. Non esiste lavoro senza impresa e nello stesso modo non esiste impresa senza lavoro. In questo primo maggio, proprio guardando ai giovani ed al futuro, è importante riaffermare un patto tra imprese e lavoratori, perché non si può camminare su strade diverse: quando questo succede sono dietro l’angolo il fallimento economico e quello sociale. Nella nostra esperienza abbiamo davanti agli occhi tanti esempi virtuosi, anche nel nostro territorio, ma anche il perpetrarsi di diverse situazioni non sostenibili. Le risposte che dovremo costruire saranno dunque necessariamente risposte di sistema, non le istituzioni da sole, non le imprese da sole, non i lavoratori da soli.

Il primo punto su cui ritengo necessario porre l’attenzione è la creazione di opportunità professionali. Nel messaggio dei vescovi si evidenzia rispetto alla situazione nazionale “la fatica di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, per cui molte professionalità non trovano accoglienza nei giovani. Desta preoccupazione anche il tasso dei giovani che non studiano né lavorano (Neet), quelli che finiscono nelle reti della criminalità, del gioco d’azzardo, del lavoro nero e sfruttato, del mondo della droga e dell’alcolismo”. Nel nostro territorio, con le peculiarità che lo caratterizzano, la situazione non è molto distante, già più volte questo elemento è stato sottolineato dai rappresentanti delle associazioni artigiane e dell’industria, come anche in ambito sindacale. Nel tessuto sociale locale di sono già alcuni sforzi in tal senso e sono efficaci. Molte scuole superiori, soprattutto istituti tecnici e professionali hanno avviato proficue relazioni con imprese locali per favorire l’inserimento dei giovani. Allo stesso modo è da evidenziare il progetto della Fondazione Comunitaria rispetto alla qualificazione di personale sanitario che soprattutto il settore socio assistenziale locale fatica a reperire. I percorsi in tal genere sono però da intensificare e devono diventare “sistema”. Ad esempio tra le varie esperienze presenti nel territorio lombardo stanno ampliandosi le offerte post diploma degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) che nel nostro territorio sono presenti con una positiva esperienza nel campo agroalimentare. I dati di occupazione degli studenti che fruiscono di questi percorsi, che vedono dall’origine una condivisione tra imprese, tessuto formativo e istituzioni locali, sono molto positivi. In altri territori lombardi questo tipo di offerta è in costante espansione su diversi settori e professionalità. Noi nel Lodigiano cosa vogliamo fare? Abbiamo di certo altri importanti settori su cui puntare, pensiamo ad esempio al comparto cosmetico che ci avvicina anche al territorio cremasco.

Un altro aspetto su cui il Lodigiano manca di un’offerta strutturale sono le borse di studio. Ci sono nel territorio iniziative polverizzate, soprattutto nei vari comuni, che sono spesso rivolte al passato, un “premio” per un risultato ottenuto e non uno strumento per agevolare percorsi, progetti e formazione per gettarsi nel futuro. Tra le diverse forme di filantropia del territorio, non possiamo pensare di fare rete con questo obbiettivo?

Pensiamo poi alle opportunità offerte dal PNRR, molte delle quali sono già state elaborate ed acquisite anche nel Lodigiano. Ci sono iniziative specifiche per la formazione, ma anche gli interventi strutturali e infrastrutturali non devono generare solo “lavori” (leggasi “cantieri apri e chiudi”) ma lavoro e occupazione una volta a regime. Sono solo idee tra le tante, forse anche non semplici, ma non possiamo fermarci all’esistente: creare opportunità professionali per i nostri giovani è il miglior investimento che possiamo compiere.

I l secondo punto su cui occorre fare rete è il contrasto al lavoro povero. Con questo termine non vorrei intendere solo la dimensione economica e retributiva, ma anche la mancanza di tutele, sicurezza, prospettive, socialità. Non è un fattore accessorio o puramente etico: il lavoro ha senso pieno e dignità vera se contribuisce alla vita delle persone e della società. Direi che sia da affermarsi che l’indispensabile crescita professionale è vana se non si accompagna ad una crescita umana. Nel nostro territorio ci sono tante forme di “lavoro povero” che invocano sicurezza e tutele. Pensiamo a quante “aree grigie” sono presenti nei comparti logistici, tra i rider, le guardie giurate, le badanti. Teniamo presente quanti aspetti sono ancora da migliorarsi sul tema della sicurezza sul lavoro trasversalmente a molti settori produttivi e distributivi. Alla stessa maniera la mancanza di sicurezze nella sfera lavorativa impoverisce i lavoratori, soprattutto i più giovani, le donne ed i lavoratori fragili o disabili. Non possiamo rassegnarci ad un lavoro che sacrifica il futuro dei giovani e, conseguentemente, la nostra coesione sociale. Anche su questi aspetti serve una risposta di sistema e le proficue relazioni istituzionali e sociali del nostro territorio possono contribuire a creare condizioni ed azioni positive.

Oggi è la festa dei lavoratori, lo è per calendario e tradizione, su di noi ricade la responsabilità, ognuno per il compito a cui è chiamato, di dare testimonianza che il lavoro è il principale strumento di futuro per i giovani, di inclusione degli ultimi e di coesione sociale.

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