Premierato e giudici, riforme rimandate a settembre

Lo scoglio dei referendum costituzionali, che non richiedono quorum

È bastato scorrere il calendario parlamentare di luglio per avere la prova che sia l’introduzione del premierato, sia la separazione delle carriere dei magistrati erano slittate a dopo la pausa estiva. Rimandate a settembre, per usare una terminologia scolastica.Senza proclami solenni, con qualche generico riferimento a non meglio precisati problemi tecnici, l’iter delle due principali riforme istituzionali intestate alla maggioranza ha subito una significativa – per quanto provvisoria – frenata. Dovrebbe trattarsi soltanto di una pausa, certo. Non come per il terzo mandato dei presidenti di Regione che sembra arrivato davvero a fine corsa, tanto più che sempre a settembre arriverà un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale, presumibilmente in linea con i precedenti. In ballo c’è il ricorso del governo contro la legge del Trentino che abolisce il limite dei due mandati consecutivi per il presidente della Provincia autonoma. Un ricorso deliberato dal Consiglio dei ministri con il dissenso della Lega, ma che il governo non poteva evitare avendo poco prima attivato la Consulta contro l’analoga legge della Campania.

Le tensioni tra i partiti della maggioranza fanno sicuramente parte dell’insieme di motivazioni che sono alla base del rinvio delle riforme, in particolare per quanto riguarda il premierato. Ma la principale preoccupazione riguarda le ripercussioni che il percorso stesso delle riforme potrebbe avere sulle sorti del governo, in un momento in cui stanno per iniziare gli ultimi due anni della legislatura.

In assenza di una larga convergenza in Parlamento, infatti, su entrambe le riforme si andranno sicuramente a svolgere i referendum cosiddetti confermativi. Che poi tanto confermativi non sono, se si pensa a quel che è accaduto con il governo Renzi. Da quell’evento in poi, i referendum sulle leggi costituzionali sono diventati lo spauracchio degli esecutivi, anche perché a differenza di quelli abrogativi delle leggi ordinarie non prevedono alcun quorum. Il che rende estremamente insidiosa la possibilità che le opposizioni si coalizzino in quelli che sarebbero di fatto trasformati in una consultazione sul governo. Non è un caso che recentemente la premier Meloni abbia rilanciato con forza il tema della legge elettorale, la cui riforma non richiede la procedura di revisione costituzionale e può avere effetti paragonabili a quelli del premierato.

A complicare ulteriormente le valutazioni di Palazzo Chigi si inseriscono le considerazioni su tempi e calendario poiché i due referendum confermativi o almeno uno di essi finirebbero per intrecciarsi con le elezioni politiche che a rigore – e salvo incidenti di percorso sempre possibili e talvolta appositamente provocati – dovrebbero tenersi nell’autunno 2027.

Ma non è escluso un anticipo di qualche mese per scongiurare la sovrapposizione con la manovra di bilancio com’è invece accaduto nel 2022: in quel caso, però, la legislatura era stata interrotta anticipatamente e si era trattato comunque di una decisione eccezionale, senza precedenti nella storia della Repubblica.

E se invece questa frenata sulle riforme diventasse una pausa di riflessione utile per ponderare meglio le scelte su materie di estrema delicatezza per la nostra democrazia? E magari per cercare di aprire o riaprire un confronto vero con tutte le forze all’interno del Parlamento? A guardarsi intorno sembra un discorso per anime belle, ma quello delle riforme istituzionali è proprio il terreno su cui il dialogo tra maggioranza e opposizione può svilupparsi senza confusione di ruoli.

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