Editoriali / Lodi
Martedì 14 Novembre 2017
Per le elezioni politiche si pensa che basta attendere
di Vincenzo Tosello
L’atteso appuntamento elettorale siciliano – per quanto tardi (addirittura nella tarda serata di lunedì con uno spoglio che non finiva mai…) – ha dato il suo responso, in parte previsto, in parte sperato, in parte temuto. Il centrodestra esulta con il quasi 40% dei suffragi e la maggioranza assoluta conquistata nell’Assemblea regionale grazie ai 36 seggi totalizzati.
Il M5S si morde le dita poiché, dopo aver investito tutto il possibile nella campagna elettorale, è arrivato solo vicino alla vittoria, ottenendo “appena” 20 seggi in Assemblea; le “due” sinistre – una con 13 seggi e l’altra con uno soltanto – si accusano a vicenda di aver danneggiato la “causa”, ma sapendo che anche unite non sarebbero andate molto lontano dopo l’esperienza deludente della giunta precedente. Dire che i risultati delle amministrative siciliane preannuncino quelli delle elezioni politiche nazionali non sarebbe congruo, sia per la differenza di livello, sia per la diversa legge elettorale. Ma indubbiamente sono un segnale eloquente – del resto così era già preventivato da tutti – di alcuni orientamenti e di alcune prospettive.
Prima di tutto la quota di astenuti, ormai la maggioranza degli aventi diritto (53%): un fenomeno già riscontrato in precedenti tornate nell’isola che, secondo alcuni, sarebbe persino stato frenato – nel numero ancora maggiore dei delusi – dalla possibile opzione M5S. Di fatto il Movimento di Grillo, nonostante le magre figure a livello amministrativo, continua ad aggregare consensi per la sua netta posizione antisistema. Questo è prevedibile anche a livello nazionale. Ma i Cinquestelle sono così “anti” che – persistendo nell’atteggiamento di rifiutare ogni alleanza – rischiano di precludersi buone possibilità di successo e quindi di governo. Infatti, l’altro elemento che emerge dalle elezioni siciliane – e che in quelle nazionali sarà, per così dire, accentuato dal Rosatellum – è la necessità di unirsi ad altre forze per raggiungere la maggioranza dei suffragi e dei seggi.
Questo l’ha capito benissimo il centrodestra – che, ahime!, ha persino incamerato un po’ di “impresentabili”, tra cui il neoeletto e subito arrestato Cateno De Luca (nelle file dell’Udc); mentre il centrosinistra o la sinistra proprio non vuole capirlo continuando a dividersi e suddividersi. Se il fenomeno dell’astensionismo (purtroppo sempre in crescita) ci ammonisce sul fatto che le democrazie occidentali si indeboliscono, diventando sempre più “governi di minoranze” perché molti reclamano ed esercitano il diritto di “non partecipare”, quello del necessario “consociativismo” ci ammonisce sulla qualità di un governo che dovrà sempre più fondarsi sull’arte del compromesso per mettere insieme differenti visioni e differenti esigenze. Compresa la questione della leadership, così contesa sia a destra che a sinistra (e solo tacitata nel solitario M5S).
E questo l’ha capito persino Renzi che, ospite a La7 – abbandonato miseramente e fin troppo furbescamente dallo sfidante Di Maio -, pur ribadendo di non voler essere “rottamato”, sembra ammettere almeno una possibile distinzione tra il ruolo di segretario del partito e quello di Presidente del Consiglio (cedendo all’eventualità Gentiloni).
Del resto, a guidare o ad “animare” quelli che attualmente risultano i due contendenti maggiori (Centrodestra e Cinquestelle) sono proprio due personaggi escludibili dal governo (Berlusconi e Grillo). Ma a sinistra ci vorrà ancora del tempo perché si raggiunga (se si raggiungerà) un accordo, mentre a destra sanno come fare e nel M5S si pensa che basti solo attendere.
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