Nel Sudmilano la criminalità esplode nelle zone di confine, intervenire sulle cause del disagio per prevenire

A leggere le cronache degli ultimi mesi nel Sudmilano sembra di scorrere un “bollettino di guerra” della micro-criminalità: furti e danneggiamenti, ai danni soprattutto di plessi scolastici ed esercizi commerciali, non si contano. I presidi non sanno più da che parti girarsi e anche i commercianti sono stanchi di mettere mano al portafogli per riparare le vetrine e aggiustare i danni in attesa che le assicurazioni (i cui premi rischiano così di aumentare) coprano i costi delle riparazioni.

Le amministrazioni fanno quello che possono: impegnano maggiormente le polizie locali, dagli organici raramente completi, e si affidano a costose installazioni di sistemi di videosorveglianza, quanto meno a scopo dissuasivo. Le altre forze dell’ordine territoriali, Carabinieri e Polizia, sono parimenti sottodimensionate e il loro pur pregevole impegno per assicurare alla giustizia i responsabili delle effrazioni finisce talora per scontrarsi con le decisioni dei giudici, che si trovano a rimettere in libertà (o ai domiciliari) gli arrestati, quasi sempre persone in gravi difficoltà economiche, italiane o di origine straniera, tossicodipendenti e senza fissa dimora, privi di reali alternative all’elemosina e alle azioni illegali per sbarcare il lunario. Diversi di questi, oltretutto, sono “pendolari del furto”, provenendo dalla periferia milanese, in particolare dalla zona di Rogoredo, dove lo smantellamento del “boschetto della droga” ha prodotto solo in parte i risultati sperati. Ciò spiega anche perché a essere particolarmente colpiti sono soprattutto i centri di prima cerniera (San Donato e Peschiera) e quelli sull’asse della via Emilia, più facili da raggiungere dalla metropoli, a piedi, in bicicletta e con il passante ferroviario.

La zona di confine fra Sudmilano e capoluogo è peraltro da tempo al centro dell’attenzione proprio per la sua conformazione e per la presenza di strutture e spazi vuoti degradati: ex insediamenti industriali, ricettivi o rurali, stazioni di servizio in disuso, depositi ferroviari…; spazi che diventano con facilità ricovero di sbandati e terreno di coltura per la microcriminalità.

Qualcosa si sta muovendo, con l’incremento dei controlli e l’intervento delle proprietà (da ultimo le Ferrovie dello Stato), per mettere in sicurezza alcune aree, ma è chiaro che la “blindatura” degli spazi e l’azione repressiva non portano a risultati duraturi: il problema non si risolve, ma si sposta soltanto. Occorre pertanto operare sul piano della prevenzione, che è anzitutto intervento concreto sulle cause del disagio e tentativo di dar loro risposta o, quantomeno, di arginarne l’impatto. Servono azioni che coinvolgano diversi soggetti pubblici e del privato sociale, con progetti trasversali e sovracomunali, sotto la regia di realtà quali Assemi (l’Azienda sociale di zona), ma anche l’auspicabile contributo di Città metropolitana e Regione. Dietro quei ripetuti furti, quelle pietre scagliate su una vetrina per racimolare pochi euro, quelle infrazioni nelle scuole per portare via pc da rivendere sul mercato nero, ci sono uomini e donne rimasti ai margini e che, spesso, delinquono per necessità. Non limitiamoci a renderli innocui “togliendoli dalla nostra vista” e riprendiamo invece a pensare – ove possibile - a un loro graduale recupero e reintegro nel consesso sociale, mettendoci idee e investimenti a tutti i livelli.n

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