Negli Usa Biden e Trump hanno fatto il loro tempo

Il commento di Luciana Grosso

Poco più di due settimane fa, lunedì 7 novembre, eravamo alla vigilia delle elezioni di medio termine americane. Quelle che, secondo l’ordinamento americano, si tengono ogni due anni e servono a rinnovare completamente la camera, il senato di un terzo, e soprattutto a dare la temperatura della politica americana, a capire verso dove tira il vento.

Da quel lunedì tutto, o quasi, è cambiato.

Tanto per cominciare i repubblicani di Donald Trump non hanno per niente vinto le elezioni. O meglio ne hanno vinta (e in modo risicatissimo) solo metà, e per giunta quella meno importante, cioè la camera, perdendo però il senato.

Poi, da allora, da quella vittoria che sa di sconfitta, sono iniziate le grandi manovre nel partito repubblicano per superare la leadership di Trump che, appare evidente, non paga più. Così, in poche ore la rete dei fedelissimi dell’ex presidentei ha preso a sfilacciarsi, a farsi piena di dubbi, di se e di ma: perché si sa, tutto si può mandar giù, anche un presidente che istiga al golpe, ma non un leader che ti fa perdere le elezioni.

Su questa scia si inserisce l’altra grande novità di questi ultimi giorni, ossia il fatto che la dirigenza repubblicana, un altro cavallo su cui puntare sembra in realtà averlo già trovato: si chiama Ron DeSantis ed è il governatore della Florida. Due settimane fa gli è riuscito un piccolo capolavoro politico, ossia vincere di 20 punti in uno stato nel quale, in genere, ci si arrabatta sui centesimi di punto (ricordate la disfida del 2000 tra Bush e Gore?).

DeSantis ha il profilo del candidato perfetto, almeno agli occhi di quel che resta del partito repubblicano: è molto, ma molto, conservatore (forse persino più di Trump), ma non è Trump, non ha il suo carico di pendenze legali, di comunicazione tossica, di violenza verbale.

Non ha nemmeno la sua propensione ai colpi di stato e alla sospensione della democrazia (e già questo, che in condizioni normali dovrebbe essere il minimo indispensabile, suona come un enorme pregio). Ma soprattutto, grazie alla sua capacità di coniugare un forte conservatorismo con politiche sociali molto efficaci, è riuscito a estendere il suo consenso e la sua credibilità anche tra gli elettori latini, un segmento molto importante della popolazione americana e storicamente incline a votare a sinistra. inoltre, a differenza di Trump, è giovane e nuovo.

E qui, a questo punto, si concatena la quarta enorme novità di questa stagione politica negli USA: un ricambio generazionale all’interno del partito democratico.

Nancy Pelosi, dopo venti anni alla guida del gruppo parlamentare dei dem, ha detto che lascerà il posto “a qualcuno di una nuova generazione”, e nello stesso tempo, nelle fila del partito di Joe Biden si inizia a interrogarsi sul fatto che il Presidente corra per un secondo mandato.

Al momento Biden ha 80 anni, è l’uomo più vecchio mai stato in carica alla Casa Bianca, e nel caso in cui si candidasse di nuovo, potrebbe iniziare il suo mandato a 82 anni. Potrebbe non essere una buona idea. E soprattutto potrebbe essere, questo è quello che conta più di tutto, un’idea elettoralmente perdente, soprattutto se il candidato dei repubblicani dovesse essere il giovane e carismatico Ron DeSantis.

Così, anche se nessuno ne parla, anche i democratici, esattamente come i repubblicani, si stanno dando da fare per cercare un nuovo leader e per archiviare per sempre una stagione della loro storia.

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