Medici di famiglia, emergenza nel Sudmilano: non possiamo aspettare le case di comunità

Il commento di Marco Ostoni

Nel Sud-est di Milano un medico di famiglia su quattro (119 “caselle vuote” in totale) manca all’appello. Il dato, emerso con forza nei giorni scorsi grazie al Coordinamento per il diritto alla salute Melegnano-Martesana, non può lasciare indifferenti. La situazione emergenziale che riguarda molti comuni del territorio è certo nota già da tempo e gli utenti, specialmente i più deboli, ne stanno pagando le conseguenze sulla propria pelle in termini di disservizi e costi aggiuntivi, ma le nude cifre - secondo le quali l’area del Melegnanese è in assoluto quella più critica dell’intera Lombardia - certificano senza alcun margine di dubbio la gravità delle cose. E con scenari futuri, peraltro, poco rassicuranti visto che è sempre più difficile riempire le suddette caselle con forze giovani, essendo la professione di quello che una volta si chiamava il “medico della mutua” sempre meno appetibile, sia per ragioni economiche, sia per il sovraccarico di lavoro e adempimenti burocratici che si porta appresso.

Individuare soluzioni, e possibilmente in tempi brevi, è dunque un’urgenza assoluta, in Lombardia come altrove e - nel caso della nostra regione - non può bastare l’attesa che entri in vigore la nuova organizzazione della sanità pubblica a livello territoriale (tra case e ospedali di comunità) resa possibile grazie ai fondi del Pnrr, avendo questa peraltro come obiettivo non direttamente il servizio in questione, ma altre e più specifiche prestazioni sanitarie.

Sarebbe bello se la politica tutta, da destra a sinistra, lavorasse unita in questa direzione ponendo la questione in testa alle priorità dell’agenda (cosa che al momento non sembra essere), altrimenti il rischio che il problema si incancrenisca è dietro l’angolo, con conseguenze devastanti sui pazienti più fragili, a partire dai pensionati, peraltro in costante aumento stante l’innalzamento dell’età media anche sul nostro territorio. Certo, il privato sta pian piano riempiendo i “buchi” creatisi nel sistema, compreso quelli della carenza di medici, con l’apertura senza sosta di ambulatori e strutture in grado di rispondere in tempi certi (e rapidi) alle esigenze dei cittadini, ma il privato ha un costo e chi non lo può sostenere resta inevitabilmente tagliato fuori. Il che non possiamo certo consentirlo in un Paese che fa da sempre del suo sistema socio-sanitario pubblico un proprio fiore all’occhiello.

Oggi in molti comuni del Sudmilano è diventata un’impresa anche solo riuscire a parlarci al telefono con i medici di base - soverchiati da centinaia di chiamate al giorno e sommersi dalla mole di visite in studio da svolgere - e molti pazienti finiscono per affidarsi al “fai da te”, magari riuscendo a strappare via mail una ricetta al medico stesso, autodiagnosticandosi il malanno (chi scrive lo fa ormai costantemente…) e riuscendo così, quantomeno, ad acquistare i medicinali in farmacia senza perdere intere giornate al ricevitore o in fila negli ambulatori. Serve dunque uno scatto di consapevolezza e, soprattutto, occorre individuare un think tank di esperti che si chini sulla questione, la svisceri a fondo e provi a individuare le strade per risolverla, magari anche coinvolgendo gli stessi privati che ormai “tappezzano” i maggiori centri urbani a sud del capoluogo. Se non ora, quando?

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