Madri e padri, una certezza nell’epoca
del provvisorio

C’è una caratteristica rilevante del mondo post-moderno in cui viviamo: la provvisorietà. Nulla infatti è per sempre. È forse questa la nota decisiva di quella cultura fluida che anima il nostro tempo. Viviamo un’esistenza precaria nella quale nessun posto, nessun vincolo, nessuna persona, ma nemmeno nessun valore o convincimento sono per sempre. Adottiamo tutti, più o meno consapevolmente, un’etica utilitaristica e funzionalistica: le cose vanno bene finché ci sono utili, finché generano piacere o finché “funzionano”. Non importa se un valore sia vero o meno, l’importante è che esso “funzioni” nella nostra vita, ossia che ci aiuti a costruire il nostro futuro, garantisca una stabilità, seppur temporanea, un posto di riparo per alcuni giorni, mesi o anni. Sicché nulla è davvero per sempre e, siamo onesti, non restiamo particolarmente sconvolti da questa constatazione: le amicizie iniziano e poi finiscono; le passioni ci travolgono e poi si spengono; le idee sono buone per un certo periodo della nostra vita ma poi, come i piselli in scatola, scadono e chiedono di essere sostituite.

La cosa davvero strabiliante è che questa fluidità costante, questa impermanenza e mutevolezza, appartengono in modo talmente radicale al nostro DNA da diventare qualcosa di ovvio e scontato. Un po’ come fa il pesce con l’acqua in cui nuota: essa appartiene alla sua vita in modo così “naturale” e radicale che, immagino, non ci faccia più caso. Eppure, in questo fluire continuo dell’orizzonte di senso, ci sono rimasti alcuni - in realtà pochi - “chiodi” che tendono a restare fissi e permanenti nella nostra vita, elementi che rimangono e persistono al di là delle mode, delle fasi dell’esistenza, dei capricci e dei fallimenti, al di là di tutto e di tutti. Uno di questi “appigli” è l’essere padri e madri, ossia quell’identità generativa che ci decentra da noi e ci spinge verso l’altro.

Non mi riferisco qui solo alla maternità e alla paternità biologica, sarebbe troppo poco. Essere padri e madri è una esperienza che si offre attraverso una straordinaria ed infinita gamma di colori, ruoli, tonalità, traduzioni e realizzazioni. Ci sono paternità e maternità biologiche, adottive, affidatarie, spirituali, elettive, educative, sociali, affettive e la lista potrebbe davvero continuare molto oltre. Si è padri e madri, in senso simbolico, nella misura in cui si sceglie di generare altri alla vita, quando si attua quella decisione di vivere per introdurre altri nel mistero dell’esistenza, affinché un altro possa, come me, sperimentare la radicale appartenenza all’essere.

Mi pare che l’esperienza di essere padre e madre sia una di quelle cose che non passano: passano i tempi, le stagioni, le mode e le culture, le voglie e le passioni ma padre e madre lo si resta per tutta la vita e, azzardo a dire, anche oltre. La nostra genitorialità eccede i limiti del tempo e della morte, giacché essa resta come una traccia indelebile ed eterna nella vita di coloro che ci sono stati affidati. Mi sorprende constatare, anche nelle persone che vivono con me, quanto la paternità e la maternità restino tuttora un’àncora affidabile e sicura, una stella polare che, dall’attimo in cui appare, continua ad illuminare il cammino fino al tramonto dell’esistenza.

C’è un tratto di mistero in tutto questo, un’istanza profonda di senso che forse stentiamo a cogliere ed onorare. La maternità e la paternità sono una dimensione in cui la l’istanza biologica, quella etica, quella volitiva e della libertà, quella spirituale e affettiva si fondono in un movimento che naturalmente apre alla trascendenza, in quanto il soggetto si sente, carnalmente e spiritualmente, sospinto verso un oltre che eccede la propria persona, il proprio corpo ed il proprio spirito. Credo che, in questo tempo in cui tutto passa e tutto si svaluta, dovremmo rimettere maggiormente al centro della nostra attenzione ecclesiale, politica e sociale la dimensione della generazione e della genitorialità: forse essere padre e madre oggi può indicare un motivo di speranza per il nostro tempo, la possibilità di costruire una società più giusta ed inclusiva e può rappresentare una di quelle “porte strette” attraverso le quali possiamo accedere alla pienezza della nostra umanità e, con essa, al mistero profondo delle cose.

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