LODI Un uomo che cammina ci indica la strada

«Quello che ci è stato consegnato è un vangelo a piedi nudi, un vangelo su due piedi, in quell’eternità improvvisata che è la corsa, la lunga marcia, della nostra vita»

“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?” Essi infatti “fissavano il cielo mentre egli se ne andava”: questo è il fotogramma con cui l’inizio del libro degli Atti immortala gli apostoli.

Può essere consolatorio rimanere naso all’insù ad attendere qualche effetto speciale, o forse è solo nostalgico e in definitiva frustrante, se ci si attende il ritorno di qualcuno o di qualcosa esattamente con le modalità con cui siamo abituati ad esperirlo. Di fatto non è ciò che Gesù ha chiesto ai suoi.

Avere le impronte dei piedi di Gesù impresse nella retina del cuore può essere però un’ottima traccia su cui incamminarsi. Gesù è infatti “l’uomo che cammina. Senza sosta cammina”. (Ch. Bobin)

I Vangeli puntano molto i riflettori sui piedi, riservando loro un’attenzione che fa nascere la domanda: “Un vangelo dei piedi?” (J. P. Sonnet)

Ci sono infatti i piedi di Gesù, che le donne hanno accarezzato tante volte, fino alla morte ed oltre, e quelli dei discepoli e delle discepole, piedi tanto amati da Gesù al punto da lavarli ed asciugarli di persona. Piedi invitati ad andare, a camminare, quasi a voler scongiurare soprattutto il rischio di quell’immobilismo che impedisce di contaminarsi con la terra, con la storia, e con le storie di chi quella terra abita. Una sclerocardia trincerata dietro corazze che tentano di mummificare il fluire della vita che Gesù vuole invece continuare a far correre agile nel mondo.

Quello che ci è stato consegnato è infatti “un vangelo a piedi nudi, un vangelo su due piedi, in quell’eternità improvvisata che è la corsa, la lunga marcia, della nostra vita” (Sonnet).

La festa dell’Ascensione ci invita proprio a riflettere ancora una volta su quella traiettoria itinerante che è la vita, zoomando subito sui piedi di Gesù. Dopo la sua morte e resurrezione infatti si muove per tornare in Galilea, dove tutto aveva avuto inizio. Ed insieme invita i discepoli a raggiungerlo proprio là: “Andate ad annunciare ai miei fratelli che partano per la Galilea” - dice il Risorto alle donne che si avvicinano a lui stringendogli ancora una volta i piedi, per poi correre raggianti ad annunciare. E “gli undici discepoli andarono in Galilea”.

L’evangelista Matteo chiude quindi il suo vangelo con tutti questi piedi che si muovono veloci, non però senza inciampi: infatti i discepoli, pur prostrandosi davanti al loro Amico risorto da morte, dubitano. Certo, si sono recati al luogo dell’appuntamento e lo hanno visto finalmente: finora solo le donne avevano raccontato loro di questo incontro fuori da ogni logica! Ma chissà, forse avevano immaginato un epilogo differente e meno pedestre!

Invece l’appuntamento è “sul monte”, quello su cui Matteo, all’inizio del suo vangelo, ha presentato Gesù che saliva per annunciare le Beatitudini, capovolgimento della logica del mondo e cuore di carne del suo messaggio. Lui per primo, del resto, l’aveva inverato con la sua vita e la sua morte in croce.

Forse è questo il nocciolo duro del dubbio: possibile che proprio questa sia la logica divina! Ma il Risorto fa tornare proprio lì, a voler imprimere ancora una volta, con l’impronta lieve dei suoi passi, la traccia di un avvio. Perché nella vita “si va di avvio in avvio attraverso inizi che non hanno mai fine”, come scriveva Gregorio di Nissa.

La Resurrezione non è infatti l’azzeramento della scena del mondo, semmai l’ascesa del Risorto nella profondità del mondo per far scorrere nel legno arido delle consuetudini il vigore della linfa di una vita che non si ripete stancamente identica, ma sa far apparire squarci di cielo nella quotidianità della terra. Questo è il “potere” che gli è stato dato in cielo e sulla terra. Ed è questo potere di vita che affida ad un gruppetto claudicante e fragile: “Andate, dunque”, perché “io sono con voi fino al compimento del tempo”.

Sono le ultime parole che ci consegna l’evangelista Matteo, parole di movimento. Perché “l’uomo che cammina” e mai ha smesso di camminare, ora è proprio dentro di noi e non solo davanti, sopra o accanto. È piede nei nostri piedi.

Perché stiamo a guardare il cielo? Il Risorto è asceso in noi, scegliendoci come suo tabernacolo definitivo.

E a noi instancabilmente ripete: “Andate, dunque”, con “il vangelo nei talloni, e la gioia, come una distanza da percorrere”.

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