LODI Il chiacchiericcio dei cristiani è come la peste

«Sono chiamati a sporcarsi le mani e, come dice il Papa, a promuovere il bene, a costruire la pace e la giustizia nella verità»

«Il cristiano è chiamato a sporcarsi le mani: anzitutto, come ci ha detto San Paolo, a pregare, e poi a impegnarsi non in chiacchiere - il chiacchiericcio è una peste - ma a promuovere il bene, a costruire la pace e la giustizia nella verità». A ribadirlo è stato Papa Francesco, che nella catechesi dell’udienza di ieri, dedicata alla figura del beato José Gregorio Hernández Cisneros, laico venezuelano, ha esortato all’impegno sociale e politico. «Io, davanti a Gesù presente nei poveri vicino a me, di fronte a chi soffre nel mondo? Cosa faccio?», ha chiesto Francesco ai fedeli presenti in piazza San Pietro: «Il Beato José Gregorio ci stimola anche all’impegno dinanzi alle grandi questioni sociali, economiche e politiche di oggi.

Tanti ne parlano, tanti ne sparlano, tanti criticano e dicono che va tutto male. Ma il cristiano è chiamato a sporcarsi le mani».

«Anche questo è zelo apostolico, è annuncio del Vangelo, è beatitudine cristiana», ha raccomandato il Papa: «beati gli operatori di pace. Andiamo avanti sulla strada del beato Gregorio, un laico, un medico, un uomo di lavoro quotidiano che lo zelo apostolico ha spinto a vivere facendo la carità durante tutta la vita».

«A contatto con Gesù, che si offre sull’altare per tutti, José Gregorio si sentì chiamato a offrire la sua vita per la pace, durante il primo conflitto mondiale», ha raccontato Francesco ripercorrendo la biografia del beato venezuelano: «Gregorio ha saputo che è stato firmato il trattato che pone termine alla guerra», ha sottolineato: «La sua offerta è stata accolta, ed è come se lui presagisca che il suo compito in terra sia terminato. Quella mattina, come al solito, era stato a Messa e ora scende in strada per portare una medicina a un malato. Ma, mentre attraversa la strada, viene investito da un veicolo; portato in ospedale, muore pronunciando il nome della Madonna. Il suo cammino terreno si conclude così, su una strada mentre compie un’opera di misericordia, e in un ospedale, dove aveva fatto del suo lavoro un capolavoro come medico».

«Lo zelo apostolico non segue le proprie aspirazioni, ma la disponibilità ai disegni di Dio», ha precisato il Papa: «il beato comprese che, attraverso la cura dei malati, avrebbe messo in pratica la volontà di Dio, soccorrendo i sofferenti, dando speranza ai poveri, testimoniando la fede non a parole ma con l’esempio», ha continuato: «Arrivò così, su questa strada interiore, ad accogliere la medicina come un sacerdozio: il sacerdozio del dolore umano».

« José Gregorio era un uomo umile, gentile e disponibile», il ritratto del beato: «E al tempo stesso era mosso da un fuoco interiore, dal desiderio di vivere al servizio di Dio e del prossimo. Spinto da questo ardore, diverse volte provò a diventare religioso e sacerdote, ma vari problemi di salute glielo impedirono. La fragilità fisica non lo portò però a chiudersi in sé stesso, ma a diventare un medico ancora più sensibile alle necessità altrui; si strinse alla Provvidenza e, forgiato nell’animo, andò maggiormente all’essenziale».

«Sono le mamme a trasmettere la fede. La fede si trasmette in dialetto, cioè col linguaggio delle madri, in quel dialetto che le mamme sanno parlare con i figli», l’inizio a braccio della catechesi.

«Voi mamme, state attente nel trasmettere la fede in quel dialetto materno», la raccomandazione di Francesco, che ha osservato come «la carità fu la stella polare che orientò l’esistenza del Beato José Gregorio: persona buona e solare, dal carattere lieto, era dotato di una spiccata intelligenza; divenne medico, professore universitario e scienziato. Ma fu anzitutto un dottore vicino ai più deboli, tanto da essere conosciuto in patria come il medico dei poveri: accudiva i poveri sempre. Alla ricchezza del denaro preferì quella del Vangelo, spendendo l’esistenza per soccorrere i bisognosi. Nei poveri, negli ammalati, nei migranti, nei sofferenti, José Gregorio vedeva Gesù. E il successo che mai ricercò nel mondo lo ricevette, e continua a riceverlo, dalla gente, che lo chiama santo del popolo, apostolo della carità, missionario della speranza. Bei nomi!».

Salutando i fedeli polacchi, il Papa ha menzionato la famiglia Ulma, Giuseppe e Wiktoria con i loro sette figli, beatificati domenica scorsa e le cui reliquie sono state portate a Roma. «Possa questa Famiglia di Beati essere per voi e per le famiglie polacche un modello di devozione al Sacro Cuore di Gesù, la cui immagine, che oggi benedirò, porterete in pellegrinaggio nella vostra arcidiocesi», l’augurio di Francesco. Durante i saluti ai fedeli di lingua italiana, la preghiera per la Libia, colpita da violente piogge che hanno provocato allagamenti e inondazioni, causando numerosi morti e feriti, e per il «nobile popolo marocchino», colpito dal devastante terremoto dei giorni scorsi: «che il Signore gli dia forza di riprendersi». Infine, l’ennesimo appello a continuare «a pregare per la pace nel mondo, specialmente nella martoriata Ucraina, le cui sofferenze sono sempre presenti alla nostra mente e al nostro cuore».

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