L’Italia della disabilità chiede il rispetto dei diritti

diPatrizia Caiffa

Lavoro negato, discriminazioni, assistenza insufficiente, barriere architettoniche. A lanciare un appello-denuncia a nome di 4 milioni di persone disabili in Italia è l’Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili), la più grande associazione di settore con oltre 150mila iscritti e 104 sedi territoriali. I cittadini disabili si ritengono “assenti dalle priorità dell’agenda del governo e nella nuova manovra finanziaria, assenti dal dibattito pubblico sulle emergenze del Paese”, e chiedono perciò il rispetto e l’attuazione concreta dei diritti. La loro vita quotidiana, infatti, nonostante l’approvazione di numerose leggi in materia, non sembra affatto migliorare, al contrario.

E non migliora nemmeno quella dei parenti, oltre 3 milioni di persone che in Italia convivono con persone con disabilità – i cosiddetti “caregiver”. Più in generale si stima che almeno 9 milioni di italiani siano costretti a supplire alle carenze dei servizi socio-assistenziali, specie l’assistenza domiciliare, per assistere i figli minori disabili o gli anziani.

«Purtroppo in questo momento la politica italiana ha altre priorità – ha osservato in una conferenza stampa a Roma Nazaro Pagano, presidente Anmic – ma esiste una frattura tra le leggi e la realtà. Non vediamo ancora i benefici che vorremmo per impattare sulla società».

Sono tante le criticità sollevate dall’associazione, che pur avendo un acronimo antico (è nata nel 1956), rappresenta tutto il mondo delle disabilità, fisiche e intellettive: le difficoltà nell’inclusione scolastica date dalla carenza di insegnanti di sostegno, le perplessità sulla legge sui “caregiver” in discussione in Parlamento, la solitudine delle famiglie che non riescono a fruire dell’assistenza pubblica, il diritto negato al lavoro.

Infatti, nonostante la legge 68 del 1999 disciplini il collocamento al lavoro delle persone con disabilità, la stessa normativa prevede che i datori di lavoro abbiano la possibilità di pagare un contributo esonerativo nel caso non intendano assumere. «Non deve essere concesso a nessuno di scambiare posti di lavoro previsti per le persone disabili in cambio di euro», ha affermato Alberto Mutti, vicepresidente Anmic. Discriminatoria, a suo avviso, è anche la chiamata nominativa, anziché attingere alle liste degli aventi diritto. L’Anmic ritiene perciò “improrogabile” una revisione della legge 68/99 attraverso la formulazione di un testo unico che renda esigibile il diritto al lavoro per le persone disabili. L’associazione, ricordando che su 680mila disabili aventi diritto solo 18mila sono i collocamenti (nemmeno il 3% del totale), non esclude di sollevare una questione di costituzionalità della norma.

Altra nota dolente è il capitolo “discriminazioni”. La cronaca non manca di riportare, purtroppo, casi oltraggiosi. L’ultimo è avvenuto a Bagno a Ripoli, in provincia di Firenze: un ragazzino disabile di 13 anni è stato minacciato da alcuni coetanei che pretendevano di fargli mangiare una schiacciatina buttata prima nel piatto doccia. Fortunatamente un amico è intervenuto in sua difesa.

L’Anmic da un anno ha attivato un numero verde antidiscriminazione e un servizio mail, che ha rilevato 300 casi. Nei mesi estivi è aumentato il caso di segnalazioni relative alla “vita sociale e relazionale con i cittadini” e con l’inizio dell’anno scolastico aumentano le segnalazioni subite giornalmente dagli alunni con disabilità. «In maggioranza non si tratta di vere e proprie discriminazioni – ha spiegato Annalisa Cecchetti, responsabile dell’Ufficio antidiscriminazioni Anmic – ma di persone che non riescono a risolvere problemi reali. Ad esempio le barriere architettoniche, la ricerca di un posto di lavoro, l’assistenza domiciliare negata. C’è ancora tanto lavoro da fare per dare a tutti pari opportunità».

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