Le manifestazioni per la pace e la necessità di sostenere l’Ucraina

Risulta triste che una parte politica, di cui uno degli inni più conosciuti recita “Una mattina/mi son svegliato/e ho trovato l’invasor,” non abbia offerto incondizionato e totale supporto agli Ucraini

Lo scorso 5 novembre, grandi manifestazioni a Roma e Milano hanno mobilitato migliaia di partecipanti per un appello alla pace in Ucraina. Uno sforzo a prima vista ovviamente e pienamente condivisibile, guidato dai partiti dell’opposizione come Pd, Movimento 5 Stelle e Azione. Tuttavia, una più attenta disamina della postura politica e del messaggio di fondo di queste manifestazioni suggerisce una valutazione diversa. Può sembrare infatti paradossale, ma slogan, simbolismo e discorsi non si rivolgevano al paese che la guerra l’ha iniziata - la Russia. Invece, bersagli principali erano NATO e Stati Uniti. In particolare, si voleva l’abbandono della NATO per il nostro paese; lo stop all’invio di armi in Ucraina; e, infine, si raccomandava la smilitarizzazione dell’Italia. Vale la pena soffermarsi sulla logica di fondo di queste posizioni, sulle implicazioni che tali scelte comporterebbero, e su quello che rivelano del nostro paese. In primo luogo, l’idea che la NATO sia responsabile della guerra più della Russia ha una certa diffusione nel discorso pubblico. Si attribuisce all’America di avere indebitamente “espanso” l’Alleanza fino alle porte di Mosca, provocando il Cremlino a reagire come ha fatto.

Non solo. Si menziona una garanzia scritta, poi violata, che Bush padre avrebbe dato a Gorbachev all’indomani della fine della guerra fredda: la NATO non avrebbe incluso ex-paesi del blocco socialista. Ci sono molteplici problemi con questa posizione. Primo: possiamo ammettere, senza concedere, che America e NATO abbiano provocato la Russia con l’espansione. Ma una provocazione non può essere mai la giustificazione per un’aggressione violenta. È un basilare principio etico. Secondo: i paesi ex-socialisti (come la Polonia) o addirittura ex-sovietici (come la Lituania) hanno fatto richiesta essi stessi di entrare nella NATO. Non sono stati forzati dall’Organizzazione.

Un diniego nei loro confronti, per timori dei sentimenti russi in proposito, avrebbe implicato che la politica estera di tali paesi continuava a essere in qualche modo dipendente dall’assenso di Mosca. Un fatto che ne avrebbe violato la sovranità. Terzo: non ci fu nessuno accordo scritto tra Bush Sr e Gorbachev. Aggiungiamo anche che nei soli anni ’90, circa 50 miliardi di dollari sono stati versati alla Russia da UE e USA; e che, nel 2001, a Pratica di Mare, Putin firmò un trattato per rendere la Russia parte del consiglio “NATO+Russia”. Sembrano, questi, atti che indicano tutto meno che provocazioni.

In secondo luogo, l’idea che lo stop di invio di armi all’Ucraina fermi la guerra è di per sè tautologico: se uno dei due contendenti non può combattere, la guerra finisce per la sconfitta di questi. L’Ucraina non è un paese in grado di respingere, da solo, un’invasione di questa scala.

Ma appunto: l’Ucraina è stata invasa. L’Ucraina è la vittima di questa guerra. La pace cui le dimostrazioni facevano dunque riferimento non è una pace dopo avere stabilito giustizia: è la pacificazione che seguirebbe dopo le distruzioni di città, eccidi e deportazioni, massacri, stupri e torture di massa (come ahinoi ampiamente documentato dalla tragedia di Bucha in poi). Non inviare armi comporterebbe la pace al prezzo del sacrificio dell’Ucraina.

Qualcosa che chiaramente spetta solo agli Ucraini scegliere. E altrettanto chiaramente, hanno scelto di combattere. A noi, non rimane che il supporto - fintantoché, e lo si dica esplicitamente, non riteniamo che la Russia abbia il diritto e la necessità di fare ciò che sta facendo.

In terzo e ultimo luogo: inneggiare alla smilitarizzazione può sembrare una posizione eticamente nobile. Vorremmo tutti un mondo senza armi e senza guerre. Tuttavia, non è con il mondo dei desideri che abbiamo a che fare. Le aspirazioni sono una cosa; la realtà un’altra.

Cosa ci dice tutto questo del nostro paese? Ci dice che molti di noi hanno poca coscienza di quello che certe scelte implicano. Che questioni di geopolitica e sicurezza, per quanto sgradevoli, richiedono onestà, fermezza, lucidità - non scappatoie come l’interruzione dell’invio di armi. Risulta infine triste che una parte politica, di cui uno degli inni più conosciuti recita “Una mattina/mi son svegliato/e ho trovato l’invasor,” non abbia offerto incondizionato e totale supporto agli Ucraini, che cantano quelle note dallo scorso 24 febbraio.

* Massimo Ramaioli si è laureato all’Università di Pavia in Scienze Politiche e ha poi proseguito gli studi con esperienze negli Stati Uniti, in Africa e in Medioriente. È Visiting Professor presso la Al-Akhawayn University di Ifrane, Marocco.

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