Le lezioni della storia confinate nei libri

Il commento di Daniele Bellocchio

Il 24 febbraio tutto il mondo ricorderà che è ormai trascorso un anno dall’inizio dell’aggressione di Mosca a Kiev. Una data d’inciampo che ha sconvolto, e continua a farlo, vite e destini di milioni di persone e già cristallizzatasi nella storiografia contemporanea con la prepotenza icastica che hanno gli eventi drammatici.

1 settembre 1939, 27 gennaio 1945, 6 agosto 1945, 11 luglio 1995, 11 settembre 2001, 24 febbraio 2022… sappiamo cos’è accaduto in quei giorni, li abbiamo studiati e dibattuti, analizzati e celebrati, ma abbiamo fallito; della memoria vera e pulsante, quella che tiene vivi dolori e sofferenze e alimenta la sacralità del rimorso, non abbiamo avuto il coraggio né la volontà di assumercene l’onere e di farla realmente nostra. Le immagini dei lager nazisti, i racconti dell’esplosione su Hiroshima, le urla che ancora si levano da Srebrenica, le abbiamo già confinate nei libri di storia, abbiamo sostituito il ricordo con la ricorrenza e il memento tramandatoci da chi è sopravvissuto, in fretta, l’abbiamo dimenticato. Leningrado come Sarajevo e Kherson, Marzabotto e Bucha, Vukovar e Mariupol. E adesso, quasi in concomitanza con l’anniversario dell’inizio dell’aggressione, una notizia molto inquietante arriva dalle zone dei combattimenti e dimostra come la conoscenza, la denuncia e quindi l’indignazione siano sempre più in pericolo. La stampa, quella libera e democratica, che è presente sul posto e che nell’obbligatorietà di testimonianza trova il suo paradigma per comprendere la tragedia, è sotto attacco.

Nelle ultime ore i reporter italiani Alfredo Bosco e Andrea Sceresini, che hanno seguito il conflitto dal 2014, si sono visti ritirare i permessi stampa dal governo ucraino perché accusati di aver realizzato in passato lavori in Donbass e quindi essere collusi col nemico. Ora rischiano l’arresto. Salvatore Garzillo è stato respinto al confine polacco, e stessa sorte era toccata anche a Lorenzo Giroffi. I reporter sul fronte sono la nostra avanguardia contro l’oblio e per questo i colleghi che si trovano in Ucraina, e in tutte le zone di conflitto, vanno difesi e messi nelle condizioni di lavorare: per loro e per noi. Se la stampa sul campo viene minacciata e l’informazione imbavagliata d’ora in poi avrà spazio soltanto la propaganda. E ciò non deve essere mai consentito nè giustificato, nemmeno se a farlo sono gli aggrediti perché a indossare la divisa autoritaria del censore il rischio è poi quello di mascherarsi da aggressore. In un mondo di algoritmi forti e pensieri deboli il valore che ha il racconto onesto dai fronti caldi del pianeta è quanto mai essenziale e assoluto: il nostro unico appiglio se vogliamo davvero conoscere per invertire la rotta, oppure non ci resta che alzare definitivamente le mani di fronte all’ingiustizia e aspettare, ben trincerati nei nostri divani, tra un talent e un festival canoro, il prossimo anniversario da appuntare sul calendario dell’Avvento del male. E a quel punto una sola certezza ci sarà rimasta: che all’ultima casella ne seguirà poi sempre un’altra.

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