Le incognite del campo largo e la sfida di Forza Italia alla Lega

Il commento di Lorenzo Rinaldi

Il buon risultato rivendicato dai dirigenti del Partito democratico nelle elezioni in Abruzzo (secondo partito dopo Fratelli d’Italia) non serve a mascherare il fallimento locale dell’esperienza di coalizione con il Movimento 5 Stelle. E impone una riflessione sul campo largo, che non è di per sè sicurezza di vittoria.

Certamente, stante l’attuale situazione elettorale, se il Pd vuole provare a impensierire il centrodestra ha la necessità di trovare alleanze. E su questa strada si è posta, con onestà intellettuale, la segretaria Elly Schlein, spero consapevole tuttavia che abbracciando i 5 Stelle e spostando il partito molto a sinistra rischia di allontanare i moderati. La storia si incaricherà di dimostrare se il gioco vale la candela. Nel frattempo possiamo affermare che è sbagliato affossare il progetto di Schlein alla luce della sconfitta in Abruzzo. Così come, ci è parsa un po’ troppo trionfalistica l’analisi della pur recente vittoria in Sardegna. La neo governatrice Todde si è imposta sicuramente grazie ai suoi meriti e all’intuizione di proporre il campo largo, ma il centrodestra le ha spianato la strada. Al di là delle apparenze, è arrivato litigioso alla scelta del proprio candidato: ha silurato il governatore uscente (scelta sempre azzardata) per imporre un volto nuovo, sgradito a una parte della coalizione. La sconfitta in Sardegna è da addebitare all’arroganza ingenua di Fratelli d’Italia, che ha rivendicato la decisione sul candidato governatore facendo leva sul proprio consenso elettorale ma poi ha sbagliato la scelta sul nome e non è stata in grado di coalizzare attorno alla sua figura l’intero centrodestra.

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Ridimensionare il significato politico delle elezioni sarde e abruzzesi non significa tuttavia evitare di trarre qualche piccola lezione.

Schlein andrà avanti con la costruzione del campo largo, perché è convinta che sia l’unico modo per battere il centrodestra. È legittimata a farlo. Ma ricordi che il voto moderato nel nostro Paese, per quanto oggi polverizzato, mantiene un valore elettorale ben superiore ai consensi della sinistra. Così come farebbe bene a considerare che l’elettorato dei 5 Stelle non è unicamente progressista: il partito che riempiva le piazze e le urne inseguendo le idee di Beppe Grillo era intriso di populismo e una quota degli elettori aveva idee più vicine alla destra sociale che ai socialisti europei. Oggi l’avvocato Conte sta mutando pelle al Movimento, spingendolo fortemente a sinistra, ma non credo sia una traversata nel deserto che può dirsi conclusa.

Altro aspetto rilevante: in Sardegna il Movimento 5 Stelle ha imposto la sua candidata e gli elettori sono andati a votare; in Abruzzo il campo largo non ha candidato un grillino ma un uomo vicino al Pd e il Movimento non è stato in grado - o non ha voluto - sostenerlo con convinzione, non tanto nei comizi dei leader, quanto con i voti nelle urne. Non è un caso quindi che i 5 Stelle si siano fermati a un deludente 7 per cento.

Alla segretaria Pd resta un ultimo dilemma da risolvere. Pensa davvero di costruire una seria proposta di governo, alternativa a Giorgia Meloni, mettendo insieme Conte, Calenda e Renzi? In politica tutto è possibile - la prova è che Lega e 5 Stelle sono stati al governo insieme - ma il rischio è che imbarcando uno, perda i voti dell’altro.

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