Le difficoltà dei padri al tempo della cultura liquida

Il commento di Marco Zanoncelli

Già in cabina mi sentivo miserabile, e non solo di fronte a te, ma di fronte a tutto il mondo, perché tu eri per me la misura di tutte le cose” scrive Frank Kafka nella sua famosa “Lettera al padre”. Tutto il disagio e la fatica per la relazione dolorosa con la figura paterna emergono con straordinaria chiarezza in questo testo dell’autore boemo: il padre risulta per il giovane Frank una montagna inarrivabile, una presenza ingombrate ed, in un certo modo, oppressiva, soffocante. “Tu eri avvolto per me dall’enigma di tutti i tiranni, il cui diritto è fondato sulla loro persona e non sul pensiero” aggiunge Kafka, quasi a rimarcare quell’abisso affettivo ed esistenziale che lo separava dal padre. Quanto è complicato essere padre, allora come oggi!

Nel passato per colpa di una cultura patriarcale autoritaria più che autorevole, oggi a motivo di una cultura liquida che non riconosce alcun principio di autorità né di guida. In un mondo che predilige l’orizzontalità degli affetti, la parità dei ruoli e la completa simmetria dei legami, essere padre è una sfida davvero ardua per chi la voglia assumere in tutta la sua drammatica responsabilità.

Ci ricorda il Sequeri che viviamo spesso una fraternità senza padri, una fraternità che rischia di divenire distruttiva nella misura in cui si declina nella dinamica del branco. La figura del padre vive talvolta una dinamica regressiva, schiacciato da un “codice materno” pervasivo, o, come lo definisce Sequeri, un “raddoppio materno soffocante”.

Essere padre e diventare padri oggi è affare serio, impegnativo, in quanto ne va dell’identità personale, della propria visione del mondo, del senso che il soggetto assegna alla propria vita. Essere padre significa avere il coraggio di indicare una meta, di segnare un limite, di istituire una legge che renda il mondo un posto abitabile per sé e per gli altri.

Sempre il teologo milanese ci ricorda che il compito del padre è quello di permettere al figlio di finire di nascere: dopo la nascita biologica e l’accoglienza nel mondo familiare, al padre è chiesto di aprire il soggetto alla vita sociale, comunitaria, fatta intrinsecamente di limiti, rapporti di potere, ruoli di responsabilità, di idealità libere e coraggiose. Il padre è colui che permette di “chiudere il cerchio” e di introdurre il figlio nella dimensione simbolica del mondo. È davvero arduo questo compito per noi padri, soprattutto in una società in cui gli individui vivono narcisisticamente concentrati sui se stessi, sequestrati in un solipsismo esistenziale soffocante.

Eppure, ieri come oggi, essere padri, in senso biologico, sociale, educativo, spirituale o simbolico, ha a che fare con la dimensione della promessa e della testimonianza. Il padre è colui che promette testimoniando e testimonia promettendo. La paternità oggi si declina nella possibilità che ci è concessa di incoraggiare molteplici speranze. Rinnoviamo la promessa che la vita è una opzione ragionevole, sensata, promettente; che esiste un di più capace di dare pienezza all’esistenza e che l’altro può essere un compagno di viaggio affidabile e non solo una minaccia o un avversario; che esiste una realizzazione possibile, fatta di impegno, determinazione, pazienza, costanza, fedeltà e fiducia; che il desiderio può essere custodito come una sorgente positiva di vita, a patto che accetti la dura legge del limite, della precarietà, della fatica e del confine. Al padre è concesso di annunciare queste promesse attraverso la umile e povera esperienza della testimonianza: è finito il tempo dei grandi proclami, dei maestri illuminati o dei leader indiscussi.

Oggi la bontà della vita può essere annunciata solo vivendola, rendendola visibile agli occhi dei figli e degli altri, praticabile giorno dopo giorno, nonostante la stanchezza, la delusione, i cedimenti, le ferite ed i tradimenti. Essere padre è sperimentare questa concreta “vivibilità” della vita, è aprire un cammino, non affinché gli altri lo seguano, ma perché i figli trovino il coraggio di iniziare il proprio. Mi pare che, in fondo, oggi, vivere da padri significhi passare attraverso questa porta stretta, quella che, nonostante tutto, indica, nella propria carne ferita, la bellezza sensata della vita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA