La società dello scarto che toglie il nome e l’identità

L’editoriale di Marco Zanoncelli

La “società dello scarto” la incontro tutte le mattine, sotto un ponte ferroviario nel cuore di Milano. Essa possiede mille volti, molti corpi, infinite razze ed una gamma inimmaginabile di colori, abiti, culture ed idiomi.

Eppure, talvolta, essa non ha un volto, giacché si cela dietro una pila di coperte e cenci al bordo della strada.

Questa “società dello scarto” dorme ai confini dell’umanità, nel cuore economico delle nostre città, dentro un corpo reietto di un senza-casa che passa la sua notte cercando riparo sotto le arcate appena riverniciate di un ponte ferroviario di una grande metropoli.

Lo incontro tutte le mattine, lungo il tragitto che dalla metropolitana mi porta in ufficio. Lo incontro mentre sta ancora dormendo,

rannicchiato come una bestia pestata a sangue, come un animale che cerca un po’ di calore e riposo. Non è subito evidente che c’è un corpo d’uomo sotto quell’ammasso di coperte gettate in un angolo: quell’uomo non ha sembianze umane, non mostra tratti riconoscibili, ma è solo uno scarto, un ammasso di ossa e di carne che nessuno considera.

Quando lo guardi, per uno strano scherzo della memoria, ti vengono in mente le parole che Isaia usa per descrivere la figura del Servo di JHWH: “tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo”(Isaia 52,14). Anche lui, come la figura biblica, non possiede forma, non ha volto, né sguardo da incrociare, né occhi da contemplare.

Non è questo il destino comune di tutti gli scarti, non è la sorte che appartiene a reietti e ai dimenticati di ogni tempo? Non sono gli scarti umani, quasi assiomaticamente, tutti senza identità, senza nome e senza storia? La società dello scarto non ci toglie solo la casa, il benessere, i soldi, gli affetti, i legami ed un posto onorevole nella comunità degli uomini. Essa, molto di più, ci toglie il nome, il volto e l’identità personale.

Forse questa dimenticanza del nome è il solo modo che conosciamo per poter dormire tranquilli nelle nostre case e per sostenere la vista di questi fratelli emarginati da tutto e da tutti: finché gli scarti restano senza nome e senza volto, essi non riescono a turbare i nostri sonni, interrogare le nostre coscienze, inquietare il nostro perbenismo.

Spero che un giorno, durante una delle mie frenetiche camminate verso l’ufficio, un volto possa emergere da quell’ammasso di coperte sporche, che due occhi facciano capolino tra i cenci sporchi, che ci sia la possibilità di un saluto e di una parola, perché solo in questo modo quell’uomo potrà sperimentare la resurrezione dalla tomba dolorosa del suo anonimato e della sua esclusione.

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