La natura è un pugile che incassa ma poi reagisce

di Giovanni Ditta

In uno scritto di qualche anno fa, paragonavo la natura a un pugile di eccellenti capacità difensive, in grado di soffrire per più riprese, incassando colpi su colpi, per poi scaricare, sul finir dell’incontro, la sua reazione senza alcun apparente preavviso e con impensabile violenza.

Ritengo ancora valido il raffronto. L’uomo, arbitro e contemporaneamente antagonista, ruoli affatto compatibili, continua imperterrito nelle sue abominevoli scorrettezze “pugilistiche”, senza minimamente considerarle tali, ritenendosi stupidamente autorizzato a imporle senza misura e con sfacciata protervia. L’ambiente, ripetutamente offeso in ogni suo angolo, scatena, alfine, la propria vendetta e risponde nell’unico modo possibile, senza alcuna discriminazione, seminando lutti e distruzioni. La recente calamità che ha colpito la regione romagnola, ne costituisce, ancora una volta, probante esempio. Proviamo a passare in rassegna le principali tipologie di attacchi che l’ecosistema subisce dal suo prepotente avversario.

La prima, classificata tale per gravità, si chiama “urbanizzazione”. Trattasi di un insieme di progetti e conseguenti infrastrutture, in grado di trasformare un esistente centro abitato di limitate dimensioni, in vera e proprio città. Per ottenere tale risultato sono necessari interventi che si susseguono e si sovrappongono, sottraendo terreno e generando problematiche di inquinamento, sovraffollamento, intensificazione del traffico e delle attività criminali. Secondo stime più volte verificate, il consumo di suolo viaggia attualmente a ritmi di due m2/sec e, in Italia, le regioni più coinvolte nel fenomeno, sono la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna. Nel raggiungimento del suddetto obiettivo, sono sistematicamente trascurati quegli interventi in grado di contenere i disagi e di predisporre rimedi alle modifiche territoriali introdotte, notoriamente sottovalutate. Tra quest’ultime prevale l’eliminazione di alberi che da secoli hanno esercitato la loro innegabile protezione contro eventi atmosferici di forte intensità.

Ora, dopo aver continuato a sottrarre suolo, riducendo l’habitat per le altre specie conviventi, politici ed amministratori non trovano di meglio che programmare l’abbattimento di “mamma orsa” che sta solo tentando di difendere i propri cuccioli.A nulla sono valse, in proposito, le passate raccomandazioni di Renzo Piano, architetto di fama mondiale senatore a vita, progettista del nuovo ponte Morandi, di devolvere investimenti urbanizzanti per la riqualificazione delle periferie, piuttosto che occupare altre superfici incontaminate.

Una delle cause che hanno provocato le esondazioni del Savio a Cesena, del Santerno a Forlì e del Lamone a Faenza, è stata unanimemente riconosciuta nel cedimento degli argini e nella ridotta capacità ricettiva, provocata dai rifiuti, tra i quali, pneumatici esauriti. Ebbene, per giustificare tale tragico evento, si è fatto ricorso a una scusa puerile, addossando la colpa alle tane delle nutrie e delle istrici.

È adesso iniziato il conteggio dei danni e le prime cifre che circolano superano i due miliardi di euro. Trattasi di dati parziali che riescono a coprire le spese più immediate, quanto di urgente occorre per far rientrare gli sfollati nelle loro case allagate e riavviare le attività produttive gravemente interrotte in più settori. Secondo stime più prossime alla realtà c’è chi, prudentemente, già moltiplica per quattro tale ammontare. Non è fantasioso ipotizzare, lo apprenderemo tra qualche anno, che le cifre definitive, comprendenti alcune importanti realizzazioni strutturali, supereranno di gran lunga i dieci miliardi.

Riporto a riguardo una dichiarazione mormorata, ma intellegibile di Giorgia Meloni, in occasione della recente visita di Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio disse senza mezzi termini: «Il problema non è come spendere i soldi, ma trovarli!».

E mentre, ponti, gallerie e viadotti reclamano interventi manutentivi urgenti, c’è qualcuno che continua a parlare di Ponte sullo Stretto di Messina.

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