La conversione ecologica riduce le disuguaglianze

Il commento di Andrea Poggio

Si continua a ripetere che ci si preoccupa dell’ambiente solo quando la pancia è piena. Che prima si deve uscire dalla crisi, trovare metano a basso prezzo e solo poi ci si può impegnare contro la crisi climatica. È vero l’esatto contrario. I ricchi hanno già ville solari senza riscaldamento a gas, possiedono batterie d’accumulo e avveniristiche auto elettriche, prendono aerei e compensano le emissioni per passare le vacanze all’estero. Sono gli abitanti di Ischia o di Messina e più ancora di loro, i 25 milioni di pakistani ad essere evacuati dalle loro abitazioni sommerse dalle alluvioni intensificate dai cambiamenti climatici.

Uscire dalla crisi climatica, smetterla di trivellare metano e petrolio, in Italia e nel Mondo, è quindi la precondizione per tirare la fine del mese, lottare contro la povertà e le disuguaglianze, governare le migrazioni dei popoli e lottare contro gli scafisti nel Mediterraneo. È l’Onu a ricordarci che la crisi climatica è aggravante di flagelli eterni come povertà, migrazioni e guerre. È la Commissione Europea che propone fondi digitali e verdi (non solo nel Pnrr) per la “giusta transizione” ecologica: non c’è prima la pancia (portafoglio) e poi l’ambiente. Al contrario, è impossibile lottare seriamente contro la crisi climatica senza redistribuire le ricchezze.

La buona notizia, per dirla con l’economista Thomas Piketty, è che la ricchezza è talmente concentrata nelle mani di pochi che si possono migliorare le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione e lottare contro il cambiamento climatico a patto di redistribuire davvero le ricchezze ed organizzare i servizi pubblici (sanità, scuola, energia, trasporti) per consentire a tutti la transizione ecologica. L’ultimo rapporto sulle disuguaglianze globali del 2022 dimostra che lo 0,1 per cento dei più ricchi del pianeta detiene da solo ottantamila miliardi di euro di capitali finanziari ed immobiliari, pari al 19% della ricchezza, l’equivalente di un anno di PIL mondiale. In Europa, dove c’è maggior equità, il 10% più ricco detiene quasi il 60% del patrimonio totale, mentre la metà più povera della popolazione si ritrova appena il 4%.

Purtroppo la pandemia e la crisi energetica hanno aumentato le disuguaglianze, il ceto medio ha perso reddito, mentre solo l’1% più ricco ha continuato la propria crescita stratosferica. In Italia più della metà delle tasse dirette (Irpef) è pagato da chi dichiara un reddito tra i 20 e i 55 mila euro, appena il 37% dei contribuenti, il ceto medio lavoratore dipendente. Mentre l’1% di chi guadagna di più e dichiara oltre 100 mila euro di reddito, contribuisce con appena il 20% delle tasse pur detenendo più della metà della ricchezza.

Come allora pagare i costi della transizione ecologica per fornire case ristrutturate, mobilità elettrica, assistenza sanitaria pubblica territoriale e scuole pubbliche che diano a tutti possibilità di successo nella vita? Nell’ultimo dopoguerra, i governi democratici degli Stati Uniti e dell’Europa, hanno introdotto imposte progressive con aliquote sino all’80-90% per i miliardari: il contrario della flat pax e dei pagamenti in contante. E i soldi vennero impegnati nei servizi sociali e nelle infrastrutture che oggi, come suggerisce l’Europa, devono essere green, digitali e sociali: il contrario delle trivelle, del ponte sullo Stretto e delle centrali nucleari.

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