La capacità della Germania di fare i conti con il nazismo

di Lorenzo Rinaldi

Nei giorni scorsi Irmgard Furchner, 97 anni, è stata ritenuta colpevole di concorso nello sterminio di oltre 10 mila persone tra il giugno 1944 e l’aprile 1945 nel campo di concentramento nazista di Stutthof, nel nord dell’odierna Polonia, non lontano da Danzica. Ottant’anni fa la signora, ai tempi 18enne, lavorò come stenografa personale del comandante del Lager, nel quale trovarono la morte ebrei deportati, polacchi e soldati sovietici.

Al temine di un processo nel quale hanno testimoniato anche superstiti del campo di Stutthof, la Corte di Itzehoe ha condannato a due anni (pena sospesa) Irmgard Furchner, ritenendola colpevole di aver favorito uno sterminio.

Nel campo si stima abbiano perso la vita 65 mila prigionieri. La signora Furchner è stata ritenuta corresponsabile per la morte di una parte di questi: dove non arrivarono la fame e le malattie, i nazisti utilizzarono le camere a gas.

Il processo che si è chiuso nei giorni scorsi è molto probabilmente uno degli ultimi che verranno celebrati in Germania per accertare le responsabilità di civili tedeschi nella progettazione e nel funzionamento dei campi di sterminio. A ottant’anni di distanza i deportati sopravvissuti infatti sono ormai quasi tutti morti. E anche molti tra i possibili responsabili civili e militari sono passati a miglior vita. Negli ultimi anni, proprio perché il “tempo stringe”, i tribunali tedeschi hanno moltiplicato gli sforzi e la scorsa estate un uomo di 101 anni, ex guardia nel Lager di Sachsenhausen, a nord di Berlino, è stato condannato a 5 anni di prigione (pena sospesa) per aver contribuito all’uccisione di 3.500 prigionieri.

Non è mancato chi si è chiesto se vi sia umanità nel mandare a processo un ultracentenario, sebbene si sia macchiato di un crimine orrendo, subumano. Così come probabilmente ha colpito molti la fotografia di una donna in carrozzina, con la mascherina, che è stata portata a 97 anni in un tribunale per essere processata.

Secondo i procuratori che hanno seguito le indagini e formulato i capi di imputazione, le condanne, certamente non eseguibili stante l’età degli imputati, hanno un valore simbolico, perché servono a non lasciare impuniti crimini contro l’umanità e permettono alla Germania di continuare a fare i conti con il proprio passato.

È proprio questo l’aspetto più importante. Il popolo tedesco è riuscito a prendere coscienza dell’orrore nazista: certamente non a pieno, sicuramente con grande fatica, e senza ombra di dubbio esistono ancora sacche di estremisti, come dimostrano indagini giudiziarie e cronache giornalistiche. Ma se guardiamo al Paese nella sua complessità, vediamo un grande stato europeo, riunificato dopo la caduta del regime sovietico, che è pienamente consapevole che il nazismo è stata una macchia. Un Paese che non ha avuto paura, avendo gli occhi del mondo addosso, di processare migliaia di tedeschi, in tribunali tedeschi, con giudici tedeschi.

La Germania può uscire ripulita dalla Seconda guerra mondiale? No. Perché esiste una responsabilità morale che i tribunali non estinguono. Ma ha compiuto un percorso doloroso e rigoroso (portando nelle aule di giustizia anziani imputati, prossimi alla morte) che certamente l’ha riabilitata agli occhi del mondo. L’Italia può dire lo stesso? Vorremmo tanto dire di sì. Dobbiamo però prendere atto del fatto che molte camice nere, fascisti picchiatori della prima ora, negli anni immediatamente successivi al ’45 ce li siamo ritrovati nelle prefetture e nei gangli dell’amministrazione pubblica e delle forze dell’ordine, anche a seguito della grande amnistia del ’46.

Sono storie diverse, i campi di sterminio sono una macchia dell’umanità che non potrà mai essere cancellata, ma occorre rendere onore al popolo tedesco, perché ha affrontato e rielaborato, con perfetto stile teutonico, una enorme ignobile eredità.

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