Il male dell’astensione nel “gigante africano”

Il 25 febbraio scorso la Nigeria ha scelto il suo nuovo presidente. Dalle urne è uscito vincitore Bola Tinubu, 70 anni, leader del All Progressives Congress, partito di Muhammadu Buhari che negli ultimi otto anni ha guidato il gigante d’Africa. Le elezioni nigeriane che hanno visto correre per la carica di Presidente anche Atik Bubakar del Peoples Democratic Party e l’outsider Peter Obi, hanno mostrato tutte le criticità di una nazione cardine del continente africano. Tinubu infatti si è affermato con un modesto 36,6%, mai una guida della Nigeria si era imposta con meno della metà delle preferenze, e se tradotti in voti gli elettori del segretario dell’APC sono stati solo 8 milioni, un numero bassissimo se si pensa che i cittadini aventi diritto al voto erano 87 milioni. Ma a impressionare più di tutto è stato il numero degli astenuti: il 73% della popolazione.

Crisi economica galoppante, inflazione, crollo del costo del petrolio, consolidamento della guerriglia di Boko Haram nel nord e della violenza intercomunitaria nel centro sud sono tutti fattori che hanno esasperato il disincanto della popolazione nei confronti della politica e delle autorità statali. La Nigeria, democrazia quanto mai fragile, è a una svolta cruciale e le impalcature democratiche del Paese più popoloso d’Africa ed economia trainante del continente stanno vacillando. Gli oppositori del neo eletto presidente hanno annunciato che contesteranno i risultati delle urne in tribunale, nelle strade si sono già registrate proteste e soprattutto, dopo questa tornata elettorale, è venuta a mancare una regola non scritta che aveva permesso negli ultimi anni vent’anni che si mantenesse una fragile stabilità ad Abuja: l’alternanza tra un presidente cristiano del sud e uno musulmano del nord.

La vittoria di Bola Tinubu dà continuità al governo del partito forte nelle regioni islamiche settentrionali e ora il rischio è che oltre alla guerra degli jihadisti di Boko Haram possano incendiarsi nuove regioni, che gli indipendentisti del Delta del Niger si sollevino di nuovo in armi e che la povertà aumenti le differenze etniche e confessionali dando origine a focolai di guerra etnica e religiosa che potrebbero espandersi a macchia d’olio in tutto lo stato. La Nigeria è sull’orlo di una crisi di proporzioni titaniche, gli effetti potrebbero essere drammatici in termini economici, sociali e migratori.

Ora è necessario un intervento concreto da parte degli organi internazionali altrimenti sarà troppo tardi e non ci sarà politica in grado di arrestare la tempesta che dal Sahel al Golfo di Guinea travolgerà la locomotiva d’Africa.

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