I seggi dei vari partiti e il premier: il vero dilemma

di Stefano De Martis

Come se dalle prossime elezioni potesse davvero uscire una chiara maggioranza di governo, tutte le forze politiche, nessuna esclusa, anche quelle di recentissima formazione (vedi “Liberi e uguali”, alla sinistra del Pd), si presentano agli elettori con un candidato premier. In realtà è ormai ben noto, e dovrebbe esserlo sempre di più agli stessi cittadini chiamati al voto, che nessuno dei tre poli principali avrà i numeri per governare autonomamente e quindi, al di là delle coalizioni elettorali, la maggioranza andrà costruita dopo il voto, in Parlamento. Dunque la vera posta in gioco è la rappresentanza parlamentare di ciascun partito, il numero di seggi che ciascuno potrà mettere sul tavolo delle trattative per la formazione dell’esecutivo. Del resto si andrà a votare con un sistema in larga misura proporzionale e questa è la sua logica di fondo. Ciò spiega, dal punto di vista dei partiti, la competizione interna tra le forze che si presentano alleate alle urne e il braccio di ferro già iniziato per l’assegnazione di seggi sicuri a questa o quella componente. Dal punto di vista degli elettori, invece, questa logica dovrebbe indurre a non votare soltanto il candidato uninominale ma ad esprimere anche il voto di lista per determinare il peso di ciascun partito all’interno dell’eventuale coalizione.

Il dibattito pubblico tra le forze politiche si sta spostando sul tema di chi riceverà l’incarico di formare il nuovo governo. Il Movimento 5 Stelle e il centro-destra lo rivendicano presumendo di risultare, rispettivamente, il partito e la coalizione più votati, mentre il Pd, al netto di quanto inciderà il voto del “cartello” nato alla sua sinistra, punta sull’effetto della traduzione dei voti in seggi (che potrebbe favorirlo) per far valere la prospettiva di avere il gruppo parlamentare più numeroso. Tutti i discorsi che lasciano il tempo che trovano perché i comportamenti degli elettori sono diventati molto più imprevedibili che in passato e per l’incognita praticamente insondabile dell’astensionismo crescente. E comunque il compito di assegnare l’incarico di formare il governo spetta al Presidente della Repubblica che, in assenza di un’indicazione chiara degli elettori, avrà come bussola la ricerca del personaggio con più probabilità di riuscire nell’impresa.

In un quadro così frammentato e incerto, l’unica garanzia appare proprio il ruolo del Capo dello Stato. L’autorevolezza e l’equilibrio (non statico) di Sergio Mattarella sono una formidabile risorsa per il Paese. Qualche giorno fa, nel discorso ai Cavalieri del lavoro, il Presidente ha parlato della “crescita delle opportunità” offerta dalla ripresa economica e della necessità di “non farcele sfuggire”. Ma ha anche sottolineato che la ripresa “non ha ancora ben inciso sugli squilibri creati dalla crisi, che vanno affrontati e colmati”. Non sarebbe male se fossero questi i temi della campagna elettorale in cui siamo già immersi e le coordinate del lavoro del governo che verrà.

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