Editoriali / Lodi
Mercoledì 26 Novembre 2025
I primi sei mesi del cancelliere Merz tra crisi economica e l’incubo Afd
Gli storici riflettono anche sulla nefasta “apertura” degli anni Trenta
A quasi sei mesi dal suo insediamento come cancelliere, è il momento di fare il punto su dove sia la Germania di Merz. Esponente dei cristiani-democratici della Cdu come Angela Merkel, non ne ha raccolto l’eredità politica sia per inclinazione personale (più conservatore della Merkel), sia, fattore più importante, per il contesto nazionale e internazionale entro il quale il suo governo si trova a operare. È vero che l’ex cancelliera, nei suoi lunghi sedici anni al governo (2005-2021), ha dovuto affrontare sfide notevoli: in primis, la crisi del debito sovrano europeo nel 2011, i primi segnali di revanscismo sciovinista russo nel 2014, la crisi dei profughi siriani nel 2015. Ma nel complesso, la Germania godeva ancora di buona salute sul piano economico e le sfide internazionali sembravano ancora alla portata del più grande paese dell’Unione Europea.
Merz, invece, si trova ad affrontare problemi che, sebbene inizialmente manifestatisi sotto il cancellierato Merkel, sono esplosi come strutturali e quasi ingestibili una volta che questa ha lasciato il potere. L’intermezzo del governo di Scholz, incolore e inadeguato, ha rappresentato plasticamente le difficoltà della Germania. Governo di coalizione guidato dai socialdemocratici dell’Spd in alleanza con i Verdi e i Liberali, appariva da subito come una problematica soluzione di compromesso. Necessario il ricambio al vertice, si escludeva la Cdu come partner di governo, ma al contempo si doveva anche escludere il partito di estrema destra Alternativa per la Germania, o AfD. Questa formazione è apertamente xenofoba, quando non razzista, anti-europea e vicina alla Russia di Putin. Non basta. Molti dei suoi quadri manifestano apertamente simpatie naziste. I servizi di sicurezza interni l’hanno definita come un pericolo per l’assetto istituzionale democratico della Repubblica federale. Il problema è che l’AfD è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni, specie nei territori dell’ex-Germania Est. È ora il secondo partito nei sondaggi, dietro solo appunto alla Cdu: un tedesco su quattro la voterebbe.
L’AfD capitalizza su un malessere diffuso che ha fatto della Germania il grande malato d’Europa. Da qualche anno la sua economia non cresce più, vittima di un contesto che ha messo a repentaglio il piano strategico industriale e commerciale di Berlino. La Germania è da sempre votata all’export. La sua manifattura di prim’ordine si reggeva certo sulle capacità della sua forza lavoro, ma anche su energia a basso costo proveniente dalla Russia (specie gas naturale) e Cina e Usa come mercati chiave di sbocco per i suoi prodotti. Nel giro di un lustro, tutto questo è crollato. L’invasione dell’Ucraina ha escluso le forniture russe dal mix energetico tedesco, facendo lievitare i costi. La Cina, che ha anch’essa conosciuto un rallentamento della sua economia, ha ridotto le proprie importazioni dalla Germania, anche in virtù di un’industria automobilistica autoctona in grado di fare concorrenza agli storici marchi tedeschi come Audi, Bmw e Volkswagen. In ultimo, il protezionismo di Trump ha ulteriormente complicato il quadro del commercio internazionale. La Germania è ancora un paese ricco, ma non cresce più e cresce il malessere. A livello sociale, inoltre, l’enorme influsso di immigrati sponsorizzato come detto dalla Merkel all’apice della crisi siriana (circa un milione di arrivi, a cui si sono aggiunti 1,3 milioni di profughi ucraini dopo il 2022) ha creato risentimento diffuso verso costoro nelle fasce di popolazione meno abbienti. I costi sostenuti per aiutare i rifugiati tolgono soldi ai tedeschi, secondo la retorica dell’AfD. Un messaggio che a tutti gli effetti ha funzionato.
L’AfD rappresenta un vero e proprio incubo per Cdu ed Spd. Ora al governo insieme, i due principali partiti della Germania post-bellica sono così impegnati in quella che è una “coalizione ad excludendum” per impedire che l’AfD possa arrivare al potere. Merz, a capo di tale alleanza, è l’ultima carta che i partiti del centro possono giocare. L’AfD è una forza antisistema che, come e più di altri partiti di destra populista europei, non fa mistero del suo estremismo ideologico. Per un paese come la Repubblica federale, nato sulle ceneri del regime forse più repressivo e oscuro della storia, il contenimento dell’AfD è vitale. Ma cosa fare, mentre questa guadagna consenso? La Cdu di Merz ha cambiato la sua stessa retorica in senso più conservatore e nazionalista rispetto a quanto mai fatto dalla Merkel: un modo per fare appello a chi vota o voterebbe per l’AfD, e dire che anche i cristiani-democratici possono rispondere alle loro aspettative. C’è addirittura chi dice di aprire invece una trattativa con l’AfD, includerla nel processo decisionale politico per moderarne toni e propositi. A questi c’è chi risponde: è quanto fatto dai conservatori Von Papen e Hindenburg negli anni Trenta con i nazionalsocialisti. Il peso della storia, come e più di sempre, grava ora sulla Germania: le prossime elezioni politiche, nel 2029, potrebbero arrivare prima del previsto.
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