I piedi d’argilla del futuro Museo Civico di Lodi

Germana Perani con Touring e Italia Nostra di Lodi riflettono sul futuro degli oltre venti milioni di euro che il Comune vuole spendere nell’ex Linificio

Gentile Direttore, solo in questi giorni, al rientro dalle vacanze, ho letto il Suo editoriale del 13 agosto, in cui con grande schiettezza e onestà intellettuale si chiedeva come si potrà finanziare il nuovo museo civico di Lodi. Il Suo articolo riprende e sviluppa considerazioni che, ricordo bene, Lei già aveva condiviso all’avvio degli Stati Generali della Cultura, lo scorso 1 ottobre. Davvero questo progetto è una sfida epocale per la città. In primo luogo per la scelta dell’edificio. Come nel precedente progetto della Cavallerizza, la nuova sede del museo concretizza un intervento di recupero e rigenerazione di un bene culturale importante: rispettivamente la chiesa del convento di San Domenico e l’ex Linificio. In questo caso si interviene però in uno spazio complesso, collocato in un’area non centrale, fino ad ora caratterizzata dalla presenza di edifici scolastici (liceo Artistico e da uffici). Se adeguatamente comunicata e condivisa questa scelta può rivelarsi vincente per l’inclusività; in caso contrario è un elemento di forte criticità.

Ma ciò che rende epocale questa sfida è un paradosso, ovvero quello di essersi impegnati per la realizzazione di un museo, senza che il museo sia mai esistito come istituzione. E anche questo è un elemento comune a questo nuovo progetto sul museo, come a quello della Cavallerizza. Al momento della sua costituzione, nel 1869, il nostro museo ha rappresentato uno degli esempi più interessanti di tutela a carattere locale nell’Italia post unitaria e la mission allora individuata, ovvero la narrazione della storia del territorio, rappresentava per l’epoca un tratto di grande modernità, tant’è che compariva nella vecchia definizione di museo dell’ICOM, rimasta in vigore fino allo scorso agosto 2022 (Il museo effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente). Nella sua storia più recente, in particolare nei decenni centrali e finali del secolo scorso il museo non ha invece mai avuto personale a lui specificamente dedicato: il direttore era condiviso con la biblioteca e il conservatore mancava.

Le diverse Amministrazioni che hanno guidato la città non hanno ritenuto che il museo potesse e dovesse svolgere un compito ed un servizio alla comunità e quindi non lo hanno messo nelle condizioni di farlo, affidandogli invece un ruolo di mera conservazione di oggetti antichi, di più o meno grande valore. La scelta di chiuderlo “temporaneamente” per potenziare la biblioteca e i suoi servizi è stato uno sviluppo di questa vision iniziale.

Da qui derivano le criticità che Lei evidenzia: in primo luogo la mancanza di personale professionalmente e numericamente qualificato in grado di consentire ciò che il museo deve essere, ovvero “un’istituzione che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperto al pubblico, accessibile e inclusivo, promuove la diversità e la sostenibilità. Opera e comunica eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze” (definizione ICOM 2022)

Quindi la prima domanda che sorge spontanea è: chi ha avuto l’idea di scegliere l’ex linificio come sede per il nuovo museo, concependo un progetto affascinante ed ardito si è posto il problema di creare una sede per un’istituzione inesistente? Era consapevole di costruire dunque un colosso di bronzo con i piedi di argilla?

Da questo paradosso originario derivano anche le altre perplessità che il progetto suscita in Lei. Se il museo come istituzione non è mai esistito come si possono produrre mostre di richiamo nazionale, se le mostre sono il momento divulgativo di progetti di ricerca di ampio respiro e di durata pluriennale che il museo ha il dovere di svolgere per meglio conoscere e far conoscere la propria realtà storico artistica e la propria storia?

Per richiamare pubblico non servono i grandi nomi: Picasso, Monet o Renoir, ma servono progetti seri, che valorizzano il territorio. L’enorme successo della mostra Cecco del Caravaggio all’Accademia Carrara di Bergamo ce lo dimostra. E questa è anche una forma di rispetto per il pubblico, sempre più consapevole ed esigente e sempre meno disposto a farsi abbagliare dagli specchietti per le allodole.

Se il museo come istituzione non è mai esistito su che base si può ipotizzare una sinergia con altri soggetti o istituti museali? Lei cita Brera, Palazzo Reale, ma se ne potrebbero citare tantissimi altri. Le sinergie si costruiscono attraverso percorsi di condivisione di progetti e di relazioni che si sviluppano col tempo.

Non escludiamo che si possa dare vita ad un evento espositivo inaugurale di buon livello scientifico e qualitativo. Se l’Amministrazione si impegnerà costituirà un comitato scientifico, sceglierà un tema e commissionerà un progetto espositivo. La linea è già segnata da mostre importanti, sia pure con diverso impatto e successo di pubblico: I Piazza (1989), L’oro e la porpora (1998) Gilardo da Lodi (2004). Tutti eventi espositivi non scaturiti da un progetto di ricerca concepito all’interno del museo. In questi casi il museo figurava come prestatore di opere, non come motore o co-motore del progetto. Deve far riflettere l’enorme distanza intercorsa tra un evento e l’altro, impensabile dove vi sia un museo che funziona. Basti pensare che, di norma, i musei realizzano più eventi espositivi nel corso dell’anno (suddivisi tra esposizioni di materiale dai propri depositi e mostre di più ampio respiro, scaturite dalla collaborazione di diversi enti).

Ma ci si può chiedere se ha senso investire somme così importanti per creare uno spazio senza un soggetto che lo faccia funzionare e concorra, con progetti, attività e conseguente ricerca di finanziamenti alla sua sostenibilità economica.

Si è da più parti fatto riferimento ad una fondazione come possibile soggetto in grado di provvedere alla governance del museo. Senza dubbio anche altre realtà museali confermano l’efficacia della fondazione per la gestione di un museo. Ma quale soggetto accetterebbe di impegnare annualmente e costantemente somme non banali di denaro per un edificio che viene chiamato museo, ma dietro al quale non c’è una corrispondente istituzione attiva e produttiva?

Lei da ultimo cita la Camera di Commercio metropolitana, fino a questo momento poco attenta a Lodi e al suo territorio. Davvero la Camera di Commercio può essere una grande risorsa nel momento in cui saprà instaurare un rapporto dialettico e collaborativo con i professionisti dei musei e con chi opera con specifica competenza nel settore dei beni culturali e della loro valorizzazione, a prescindere che questi soggetti facciano o meno parte della Camera stessa.

Ci sono molti segnali per credere che questa Amministrazione, che ha dovuto attuare un progetto non suo, che forse avrebbe voluto realizzare in modo e luogo diversi, ma di cui avverte la responsabilità in termini di successo o insuccesso dell’operazione, abbia presente il rischio di creare un vuoto mausoleo privo di un destinatario (l’istituzione museo), e le conseguenze di questo in termini credibilità e sostenibilità e quindi di ricadute negative per l’intera collettività.

Il Comune ha fatto davvero uno sforzo non piccolo per rispettare i tempi molto stretti che l’erogazione dei finanziamenti del PNRR imponeva e auspichiamo che questa fatica non sia vanificata dai ritardi in cui il governo sta cadendo nell’attuazione di molti progetti finanziati.

È senza dubbio positivo e di grande rilievo l’apertura verso il mondo associativo e della scuola, di cui è prova l’avvio degli Stati Generali della Cultura.

L’auspicio è che il Comune, per superare il paradosso di dare una sede ad un museo che non c’è, attui una più concreta apertura verso i professionisti museali e favorisca e promuova la costituzione di associazioni spontanee di esperti museali che possano concorrere a definire non solo la narrazione che il museo deve svolgere, ma che avviino anche una politica culturale del museo che fino a questo momento è mancata. In questo sia il Touring, sia Italia Nostra, hanno una lunga e solida esperienza, che ben volentieri metterebbero a disposizione dell’Amministrazione, se richiesti.

Se l’Amministrazione dimostrerà di credere in questo potremo arrivare più sereni all’inaugurazione del 2026, che non sarà solo l’apertura di un luogo, ma la nascita di un’istituzione che tanto può contribuire per l’inclusività e la crescita armonica della comunità in tutte le sue componenti. Il volontariato è importante in ambito culturale, ma un museo non può e non deve essere solo un luogo di raccolta di progetti ed eventi accettati solo perché non hanno costi per l’Amministrazione.

* Intervento condiviso con il Corpo Consolare lodigiano del Touring Club Italiano e il consiglio direttivo di Italia Nostra-Lodi

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