I nuovi poveri sono i giovani, gli immigrati e i separati

Il commento di Nicola Salvagnin

C’è un deciso dibattito in corso sul concetto di “classe media” e sul suo stato di salute, economico s’intende. C’è chi lamenta un progressivo impoverimento della stessa, con un costante smottamento verso la povertà; chi invece dice che no: in Occidente la classe media non è mai stata così bene, e la stessa cresce ad ampie falcate pure nel resto del mondo.

Bisogna intendersi cosa vogliamo dire, parlando di classe media. Non regge né il suo paragone alla “borghesia”, né la suddivisione britannica in classi lavoratrice, media e ricca. Dal Dopoguerra in poi c’è stato un continuo e mai interrotto travaso tra il vecchio proletariato fatto di contadini e operai, e appunto la classe media. I ricchi ci sono sempre stati e continuano ad esserci.

È cambiata anzitutto la società, che si è urbanizzata, ha raggiunto livelli più alti di studio e di formazione, ha cambiato fisionomia addirittura nella composizione delle famiglie: da nuclei con molti figli, alla predominanza di “famiglie” composte da una sola persona. L’ascensore sociale ha funzionato per decenni e la terziarizzazione dell’economia ha fatto il resto, creando migliaia di nuove figure lavorative. Pure quelle vecchie sono radicalmente cambiate: gli “operai” sono ora tecnici specializzati che controllano più i processi produttivi svolti da macchinari, che altro. I “contadini” usano droni per verificare lo stato delle colture, controllano attentamente le quotazioni dei mercati, ottengono redditi dalla trasformazione dei prodotti e dagli agriturismi.

Tornando al dibattito iniziale, c’è da fare il check up della salute di una classe media che sostanzialmente – almeno in Italia – ingloba oltre l’80% della popolazione. La definizione economica esatta di chi vi appartiene è la seguente: sa di non essere così ricco da non preoccuparsi, ma nemmeno così povero da non dormire la notte. Oggi c’è più tensione nel contenere le calorie assimilate, che nel mettere assieme pranzo e cena.

Ma le statistiche dicono che la povertà è in costante aumento… Ed è vero: perché se non si raggiungono determinati livelli di reddito minimo, è veramente difficile campare nelle società opulente di oggi. E da qui vediamo chi sono i nuovi poveri: gli immigrati che campano con lavori umili e sottopagati; i giovani senza le “spalle coperte” che si barcamenano tra occupazioni precarie e anch’esse sottopagate; i pensionati che si devono far bastare meno di mille euro per arrivare a fine mese; gli adulti che, in seguito alla deflagrazione della loro famiglia, si ritrovano con situazioni reddituali assai complicate.

Non è vero invece che la classe media si sia impoverita: a falsare decisamente i dati è quell’economia sommersa che nasconde un quarto della ricchezza nazionale agli occhi del fisco, e delle statistiche. Lo smascherano i livelli dei consumi e quelli dei depositi bancari. Attenzione dunque ai tanti “falsi poveri”.

La questione è più psicologica: abbiamo raggiunto un certo livello di benessere, abbiamo il terrore di perderlo. Chiediamo a chi ci governa soprattutto protezione. E questo ci impedisce sia di apprezzare le scelte di lungo periodo (figli non se ne fanno, nel lungo periodo siamo… morti), sia quelle che privilegiano il bene comune. Laddove la tutela della propria posizione qui in Italia vince a mani basse. Ottica di corto respiro, come sperimentiamo in Italia da diversi anni.

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