
Lodi
Nella giornata di oggi, sabato 6 settembre, almeno ottocento pellegrini lodigiani parteciperanno all’udienza in piazza San Pietro con Papa Leone XIV e varcheranno la Porta Santa, vivendo il momento più significativo del pellegrinaggio giubilare diocesano organizzato in occasione del Giubileo della Speranza, indetto da Papa Francesco e che sarà il suo successore a portare a termine.Tra gli ottocento lodigiani ci saranno una trentina di sacerdoti, e tra di essi il vescovo monsignor Maurizio Malvestiti e il vescovo emerito monsignor Giuseppe Merisi; ma ci saranno anche giovani e anziani, bambini e famiglie, amministratori, educatori, volontari che ogni giorno si prendono cura dell’altro nelle parrocchie e nelle associazioni: in poche parole un piccolo spaccato della società lodigiana, di quanti si riconoscono nel messaggio del Vangelo, che è Parola rivolta a tutti - e che interroga tutti con forza - credenti e non credenti.
Quella giubilare è esperienza totalizzante per la società, lo è stato nei secoli passati, lo è forse - paradossalmente - ancor di più oggi, in un mondo secolarizzato, piagato dal relativismo e dalla tendenza pericolosa all’individualismo, male oscuro dell’Occidente
Il Giubileo della Speranza arriva allora come una boccata d’ossigeno in un mondo che di speranza ha disperato bisogno.
E la speranza che aneliamo per l’uomo e per il pianeta è un auspicio per l’intera umanità, di fronte alla terza guerra mondiale a pezzi (profetiche sono state le parole di Francesco), ai cambiamenti climatici che colpiscono soprattutto i più poveri e sono fonte di ingiustizia e all’inverno demografico che mette a rischio le società occidentali. Credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, tutti abbiamo bisogno di sperare, di guardare al futuro, di camminare insieme, come fanno i pellegrini da millenni.
Se penso ai frutti che potrà dare questo Giubileo, guardo alla capacità di dialogo tra le parti, all’interno della Chiesa ma anche in uscita, verso quel mondo che sembra aver smarrito valori e senso dell’umano, ripiombando in una spirale d’odio fratricida che, almeno per noi europei, era sopita dalla Seconda guerra mondiale.
Ma per dialogare occorre saper camminare assieme verso un obiettivo comune, mettere un piede davanti all’altro, sperimentando anche la fatica: camminare è un gesto umile, che richiede pazienza, tempo e sacrificio; la stessa pazienza, lo stesso tempo e lo stesso sacrificio che impone il delicato lavoro della diplomazia per cercare di chiudere le ferite del nostro mondo, dall’Ucraina alla Terrasanta
L’aspetto particolare del pellegrinaggio giubilare è che una parte dei fedeli arriverà a Roma viaggiando nella notte, su pullman che partiranno da varie località del Lodigiano: non esattamente un viaggio da consigliare, ma anche la scomodità e la fatica danno il senso dell’esperienza che ci si appresta ad affrontare. Il pellegrino è consapevole di non conoscere esattamente cosa troverà sulla sua strada, quanto questa sarà accidentata, ma si mette in cammino fiducioso pensando alla meta, alla tappa finale.
Il pellegrinaggio giubilare diocesano dunque sia momento nel quale la nostra diocesi e il nostro territorio possano fare “incetta di speranza”, da riversare poi nella vita di tutti noi, nella società, nel quotidiano, una volta tornati a Lodi.
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