E ora la politica risponda

in maniera molto seria

diStefano De Martis

Bisogna riaprire una grande riflessione sull’ordinamento regionalistico dello Stato, è questa la risposta alta che la politica deve dare al segnale forte che arriva dai referendum in Veneto e Lombardia. È quanto sostiene Paolo Pombeni, uno dei più acuti storici e analisti della realtà politica italiana e non solo, commentando i risultati delle consultazioni che si sono svolte domenica nelle due Regioni. Pombeni, fra tanti altri titoli, è professore emerito di Storia dei sistemi politici europei e di Storia dell’ordine internazionale all’università di Bologna, città in cui vive. Insomma, un personaggio che unisce alla competenza di studioso una conoscenza diretta e dall’interno della realtà del Nord e delle autonomie.

«Al di là dei diversi esiti in Lombardia e in Vento – dichiara - da questa duplice consultazione che, comunque la si giudichi, è stata capace di mobilitare milioni dei lettori, è arrivato un segnale forte, che la gente non si fida più dello Stato centralista. Forse qualcuno non si aspettava che lo esprimesse in maniera così netta, ma questa è la realtà. Non si fida perché lo trova scarsamente efficiente e incapace di fornire ai cittadini servizi all’altezza. Però è anche un segnale che contiene una dose di egoismo: siccome i tempi sono difficili ognuno vuole tenere per sé le proprie risorse. Dato per scontato che la quasi totalità dei partecipanti al voto avrebbe scelto il “sì”, il risultato che ci si attendeva di valutare era quello dell’affluenza alle urne. Si è registrata la grande differenza tra il 57,2% del Veneto e il 38,2% della Lombardia. Spicca in particolare il dato di Milano, in cui l’affluenza è stata bassissima. Questo dipende dalla diversa capacità di rapporto con lo Stato centrale e quindi dai benefici che si è in grado di ricavare da questo rapporto. Milano è una città molto forte e lo è anche la Lombardia. Non dimentichiamo poi gli scandali che hanno colpito, soprattutto nel settore della sanità, la stessa Regione Lombardia, e che hanno inevitabilmente ridotto la fiducia dei cittadini nei confronti di quell’istituzione».

«Ora certamente ci saranno ripercussioni – sostiene Paolo Pombeni - sullo scenario politico nazionale. Innanzitutto è stato messo in campo un nuovo motivo di campagna elettorale. Già assistiamo al tentativo di trasferire il discorso della maggiore autonomia sul piano nazionale, estendendolo a tutte le Regioni anche se queste non hanno i conti a posto. Non è possibile perché lo vieta la Costituzione, ma diventa un formidabile argomento di propaganda. E poi ci sarà il tentativo dei vincitori di alzare sempre più la posta, come sta già facendo Zaia con la richiesta del 90% delle risorse per il Veneto. Nessuno spiega, per esempio, come farà una Regione a subentrare all’amministrazione statale in una misura del genere. È un problema enorme, anche soltanto a livello di personale. Ma intanto si fa campagna elettorale».

Certo è che sembra paradossale che nell’era della globalizzazione riemergano spinte localistiche. Naturalmente tra iniziative che si sono svolte nel rispetto delle regole costituzionali, come i due referendum, e quanto avviene altrove in maniera traumatica, c’è una differenza sostanziale.

«Si tratta – è l’opinione del politologo – di due facce della stessa medaglia. La globalizzazione genera paura e ci si illude di difendersi barricandosi nel proprio castello. In Italia la politica deve fornire una risposta alle istanze che emergono dal voto in Veneto e Lombardia. Deve rispondere in maniera seria, riprendendo in mano il problema dell’ordinamento regionalistico nella Costituzione. Allora è necessario aprire una grande fase di riflessione per riscrivere nuove regole. Un processo che sarà lungo, che dovrà prevedere delle tappe intermedie, ma che soprattutto richiederebbe una classe politica con il coraggio della visione di lungo periodo ed è quello che purtroppo ci manca.

Più nell’immediato, la Costituzione traccia un percorso complesso per le iniziative delle Regioni che sono nelle condizioni di chiedere ulteriori forme di autonomia. Oltre a Lombardia e Veneto, anche l’Emilia Romagna ha avviato la procedura fissata dall’articolo 116 della Carta che di per sé non prevede alcun referendum. Al termine del percorso, dopo la trattativa e l’intesa con il governo, è richiesta l’approvazione di una legge. Non sembra realistico che tutto ciò possa avvenire entro questa legislatura ormai agli sgoccioli. Peraltro non converrebbe neanche ai presidenti delle due Regioni dei referendum: nella prossima legislatura possono sperare di avere interlocutori governativi più favorevoli, se le elezioni premieranno le forze che li esprimono».n

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