Crescono la vendita di armi e il numero dei bambini denutriti

I dati più recenti sul numero delle persone che, a livello mondiale, soffrono di gravi privazioni alimentari è salito di 150 milioni rispetto all’epoca prepandemica, avvicinandosi alla soglia del miliardo. È questo il principale valore che emerge dal rapporto delle Nazioni Unite, avallato da altri primari enti sovranazionali, primi tra tutti, l’Unicef e la Fao.

Dopo essere rimasto quasi invariato, dal 2015 in poi tale valore ha continuato a crescere mediamente di due punti percentuali annui, sfiorando, ormai, la soglia di un complessivo 10 per cento.

All’interno di tali cifre, spicca impressionante il numero di bambini sotto i cinque anni, pari a 45 milioni, che rischiano di morire, semplicemente perché non hanno nulla da mangiare. Parallelamente alla pubblicazione di tale rapporto, la guerra, in territorio sotto stress gli approvvigionamenti internazionali di cereali, semi oleaginosi e fertilizzanti, mentre gli eventi estremi, con il protrarsi di sempre più lunghi periodi di siccità, acuiscono il problema, fornendo il proprio, negativo contributo.

Con la seria prospettiva di una recessione economica e le conseguenti contrazioni delle pubbliche entrate, un metodo per sostenere concretamente iniziative a riguardo, comporterebbe il ripensamento del sostegno alle attività agricole, da devolvere verso gli alimenti di base il cui consumo pro capite non raggiunge attualmente gli standard minimi per una dieta sana. Poco influenti e mal indirizzati, in proposito, i pur cospicui contributi erogati al settore alimentare ed agricolo, dei quali hanno finora continuato a beneficiare, in larga parte, i produttori di alimenti come le carni e il caseario, nei paesi a medio ed alto reddito.

Il direttore generale dell’Unicef ha dichiarato che la portata della crisi, richiede un’intensificazione senza precedenti degli sforzi per garantire ai bambini l’accesso al cibo ed ai servizi di terapie conseguenti alla malnutrizione.

Ebbene a fronte di tali vergognose realtà, la moderna società del benessere, del welfare e del trading on line, sta continuando a proporre alternative come quelle, prime tra tutte, appresso descritte.

Le attività connesse con la produzione, la commercializzazione, il contrabbando di armi non hanno conosciuto crisi. Nel 2020 la spesa globale militare è stata superiore a quella dell’intero Pil italiano e, l’anno successivo, è ulteriormente cresciuta, malgrado il Coronavirus.

Le sole vendite delle 100 più grandi imprese settoriali nel mondo, capeggiate da tre statunitensi, la Lockeed Martin , la Northrop Grumann e la Boeing, hanno raggiunto, sempre nel 2020, l’astronomico ammontare di 531 miliardi di dollari. Si consideri a riguardo che un solo caccia bombardire F 21 di ultima generazione, risucchia, prima del collaudo, l’iperbolica somma di 650 milioni di dollari e che anche la Turchia ha minacciosamente comunicato che i missili terra,terra, se li costruisce da se.

A tali prebende di inimmaginabile consistenza, si sommano poi i consumi che, in coincidenza con eventi bellici, come quello in Ucraina, moltiplicano esponenzialmente le voci settoriali.

Per meglio rendersi conto dell’enormità delle cifre coinvolte, riportiamo i costi unitari stimati riguardanti le più note unità giornalmente citate dalle cronache.

Un carro armato russo del tipo T 14 Armata, ora in dotazione all’esercito del Cremlino, impiegato in Ucraina ha un valore commerciale di quasi 4 milioni di euro. A maggio 2022, a soli due mesi dall’ inizio della guerra scatenata da Putin, erano stati distrutti, secondo stime di fonte affidabile, circa 700 di tali carri, per un corrispondente valore di 2,8 miliardi di euro.

Se ora si tenta di conteggiare le altre perdite, trascurando quelle umane, (aerei, mezzi corazzati semoventi, naviglio, armi leggere, missili etc.,) il costo stimato solo per la Russia potrebbe salire a qualche miliardo di dollari giornalieri. Sempre a titolo esemplificativo, mille missili, dei più economici, scaricati in una sola notte, sulle strutture e sulle abitazioni civili, comportano un costo di parecchie decine di milioni, provocando, a loro volta, danni che, secondo stime provvisorie si approssimano ormai ai 1000 miliardi di euro.

Non serve proseguire in queste elencazioni per comprendere il significato del raffronto che ci accingiamo a proporre.

Mentre da una parte una consistente quota del genere umano patisce ristrettezze non facilmente descrivibili, c’è dall’altra una controparte che brucia ingenti risorse in conflitti sanguinosi e incomprensibili.

Per commentare quanto evidenziato crediamo sia sufficiente la frase di un amico, pronunciata qualche settimana addietro: “ Sto definitivamente perdendo la fiducia nel genere umano”.

Non disponiamo di elementi, sia pur minimi, per poter dissentire.n

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