Cresce il divario ricchi-poveri: senza equità non c’è giustizia

Il commento di Marco Zanoncelli

Il rapporto annuale dell’Oxfam, la confederazione di Ong che riunisce 18 organizzazioni di diversi Paesi dedicate alla lotta alla povertà, ha confermato un andamento ormai in atto da diversi decenni. Il report, pubblicato come di consuetudine all’apertura del World Economic Forum di Davos, denuncia un crescente e sempre più preoccupante divario nella distribuzione delle ricchezze del pianeta. L’emergenza energetica, l’aumento dell’inflazione, la scarsità di beni anche a seguito del conflitto in atto e le dinamiche post-COVID non hanno fatto che enfatizzare drammaticamente il gap che esiste tra la parte ricca del pianeta e quella povera.

Alcuni dati aiutano a comprendere meglio la gravità della situazione: negli anni segnati dalla pandemia (2020-2021) per l’1% più ricco del pianeta, il valore dei patrimoni è cresciuto di 26 mila miliardi di dollari, accaparrandosi di fatto il 63% dell’incremento complessivo della ricchezza netta globale, quasi il doppio della quota (37%) andata al 99% più povero della popolazione mondiale. Negli ultimi 10 anni i più ricchi hanno raddoppiato la propria ricchezza in termini reali, con un incremento del valore delle proprie fortune superiore di quasi sei volte a quello registrato dal 50% più povero della popolazione mondiale. Un dato racconta la situazione più di qualunque altro: a fine 2021 l’1% più ricco possedeva il 45,6% della ricchezza globale, mentre la metà più povera del mondo appena lo 0,75%.

Sono numeri che fanno girare la testa e interpellano le coscienze di coloro che non accettano di subire con rassegnazione il dramma della povertà. Viviamo in un mondo in cui chi è ricco diventa sempre più ricco e chi è povero precipita sempre più spaventosamente nella propria disperazione.

Una cosa mi pare evidente dall’analisi dell’Oxfam: sulla terra esiste un impressionante problema di distribuzione della ricchezza. Il tema della povertà non è solo, e forse nemmeno principalmente, una questione di crescita economica, né di liberalizzazione dei mercati ma anzitutto di una equa distribuzione dei beni del pianeta. Il report di quest’anno, assolutamente in linea con quello degli anni precedenti, testimonia che la speranza che l’attuale sistema liberista sia in grado di garantire una sorta di auto-regolamentazione si infrange contro la crescente sacca di povertà in tutti gli angoli del pianeta.

Il divario tra chi ha troppo e chi manca dell’essenziale è alla base di quegli ampi flussi migratori che dal sud del pianeta muovono verso le zone ricche del mondo. Difficile pensare di frenare queste dinamiche se non si mette mano al nodo che è all’origine di tutto questo: la giustizia nella ridistribuzione della ricchezza.

Lo stato, soprattutto nel modello di welfare europeo, ha sempre esercitato un ruolo di “moderatore ed equilibratore” della ricchezza, sostenendo politiche che permettessero una, per quanto minima, ridistribuzione della ricchezza, prevalentemente attraverso la leva fiscale. Il crescente individualismo e l’affievolirsi del senso comunitario rendono oggi sempre più difficile attuare misure in questa direzione, prediligendo politiche economiche segnate da una chiusura egoista e nazionalista.

Occorre oggi aver il coraggio di riaffermare il valore di quello che, nella dottrina sociale della Chiesa, è definita “la destinazione universale dei beni”. I beni della terra sono di tutti e per tutti, assegnati ad ogni uomo che vive su questo pianeta come un credito da consegnare alle generazioni successive.

Il magistero ci ricorda che il valore della proprietà privata, per quanto essenziale per la crescita della persona e della comunità, non può essere inteso in senso assoluto ed incondizionato. Vi è un valore di giustizia e di responsabilità morale verso il fratello che precede il diritto al possesso ed al godimento individualistico della ricchezza.

So bene che queste idee suonano eretiche nel mainstream culturale attuale, più intonato al valore del successo personale, della crescita costante e dell’idolatria del profitto. Mi chiedo tuttavia se, alla luce dell’attuale situazione internazionale, garantire il pane ad ogni uomo posso rivelarsi non solo un atto moralmente giusto ma anche economicamente sensato e, in qualche misura, conveniente.

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