Covid, il senso di umanità soppiantato dai protocolli

La riflessione del direttore de «il Cittadino» Lorenzo Rinaldi

Ricordo ancora bene, negli ultimi giorni del febbraio 2020, le lunghe file di ambulanze (mai viste in vita mia fino ad allora) che attendevano di entrare, nel cuore della notte, al Pronto soccorso dell’ospedale di Lodi. Ricordo ancora bene, negli ultimi giorni del febbraio 2020, il senso di spaesamento e di vuoto che si provava di fronte a una situazione nuova e improvvisa, che faceva paura. Ricordo ancora bene, negli ultimi giorni del febbraio 2020, la telefonata in redazione di una signora di San Colombano che aveva la mamma malata di tumore e che non riusciva a parlare con il 118 semplicemente perché il centralino delle emergenze era assillato da migliaia di telefonate.

Ricordo ancora bene, negli ultimi giorni del febbraio 2020, la telefonata in redazione di una signora di San Colombano che aveva la mamma malata di tumore e che non riusciva a parlare con il 118 semplicemente perché il centralino delle emergenze era assillato da migliaia di telefonate

Ricordo ancora bene il rischio - che talvolta si è trasformato in realtà - dipassare da vittime a untori nell’immaginario collettivo del Paese, come quando una giornalista di «La7» mi disse che forse era più prudente non mandare da Roma alla redazione del «Cittadino» una troupe, per evitare il contagio. Senza nemmeno sapere che a Lodi la zona rossa non era stata istituita. E senza rendersi conto che se davvero vuoi documentare una pandemia devi starci nel mezzo, devi parlare con i figli che non hanno potuto seppellire i padri per via dei protocolli; con i parroci che in una manciata di giorni hanno dovuto contare decine di morti (è accaduto a Codogno come a Castiglione d’Adda) e consolare decine di famiglie; con quei medici di base che, a differenza di alcuni loro colleghi, hanno reso onore alla professione andando nelle case a visitare i malati, e qualcuno oggi non lo può più raccontare perché è caduto sul campo, da eroe moderno.

Ecco perché di fronte all’inchiesta della procura di Bergamo, che si concentra sulla mancata zona rossa di Nembro ma di fatto racconta l’arrivo della pandemia in Lombardia e dunque passa al vaglio tantissimo materiale che riguarda il Lodigiano, ho provato un senso di iniziale fastidio. Perché mi sembrava che affrontare una fase straordinaria della storia d’Italia con gli strumenti della magistratura ordinaria non fosse corretto e si rischiasse - limitandosi all’analisi redatta secondo i canoni giudiziari - di dimenticare cosa abbiamo passato realmente, soprattutto dal punto di vista psicologico. Ho provato un profondo senso di fastidio anche perché, a inchiesta chiusa, la popolazione non è stata informata dalle istituzioni, che si sono limitate a un comunicato ufficiale di poche righe: per fortuna i giornali e i giornalisti (non i social, non il chiacchiericcio web...) hanno raccontato cosa c’era nelle carte dell’indagine, hanno colmato una lacuna della democrazia.

Poi, ho letto anche io, come molti colleghi, le 2700 pagine redatte dai magistrati bergamaschi. Mentre leggevo tornavo indietro con la mente a tre anni fa. E, al netto di alcuni elementi opinabili (che senso ha ai fini dell’inchiesta trascrivere un messaggio privato nel quale un importante assessore regionale offende una consigliera regionale per il solo fatto di essere donna...), mi sono detto che l’indagine di Bergamo non offre tutte le risposte, ma quantomeno fotografa un periodo della nostra vita e mette qualche punto fermo. Era un lavoro che andava fatto.

Cercare il colpevole a tre anni di distanza è obiettivamente complesso e forse non ha neppure tanta utilità. Meglio trarre dall’inchiesta di Bergamo qualche lezione. La prima è che la nostra sanità non era preparata a un evento del genere perché avevamo una medicina di base fragilissima. E l’indebolimento della medicina di base è stato il frutto di politiche nazionali e regionali che si sono protratte per anni

Cercare il colpevole a tre anni di distanza è obiettivamente complesso e forse non ha neppure tanta utilità. Meglio trarre dall’inchiesta di Bergamo qualche lezione. La prima è che la nostra sanità non era preparata a un evento del genere perché avevamo una medicina di base fragilissima. E l’indebolimento della medicina di base è stato il frutto di politiche nazionali e regionali che si sono protratte per anni.

La seconda lezione è che è bene avere i centri di comando della sanità sul territorio e lo abbiamo notato soprattutto nella seconda ondata Covid, quella che ha colpito Milano: la Ats Città metropolitana è stata impegnata a gestire i contagi di Milano città e dunque il piccolo Lodigiano (che di questa Ats fa parte) è passato necessariamente in secondo piano. Bisogna dividere la Ats Città metropolitana e ricreare la Ats della provincia di Lodi

La seconda lezione è che è bene avere i centri di comando della sanità sul territorio e lo abbiamo notato soprattutto nella seconda ondata Covid, quella che ha colpito Milano: la Ats Città metropolitana è stata impegnata a gestire i contagi di Milano città e dunque il piccolo Lodigiano (che di questa Ats fa parte) è passato necessariamente in secondo piano. Bisogna dividere la Ats Città metropolitana e ricreare la Ats della provincia di Lodi.

La terza lezione, per nulla tecnica, riguarda il senso di umanità che moltissimi hanno smarrito a seguito del Covid. Chiudere case di riposo, reparti ospedalieri e cimiteri può forse essere stato utile nella prima fase. Ma con il passare del tempo è diventata una limitazione intollerabile. E se pensiamo che fino a poche settimane i neo papà potevano stare in ospedale solo pochi minuti al giorno capiamo bene quanto insensbili, diciamo pure inumani, siano stati certi protocolli. A proposito di senso di umanità: per mesi abbiamo sbarrato le porte delle scuole ai nostri bambini e ragazzi, li abbiamo isolati nelle loro stanze, abbiamo impedito loro di praticare sport e di socializzare, una vergogna! Salvo poi lamentarci oggi (e lo fa talvolta perfino il mondo della scuola) che sono diventati più fragili, aggressivi, chiusi in sè stessi. In ambito scolastico gli adulti e le istituzioni sono stati inadatti prima e sono intellettualmente disonesti oggi.

Ecco, se dobbiamo trarre una lezione oggi, nella Giornata nazionale in memoria delle vittime del Coronavirus, possiamo dire che i protocolli hanno evitato molti morti. Ma i protocolli, da soli, non bastano, perché l’essere umano ha emozioni e sentimenti e in una casa di riposo si può morire di Covid ma si può anche lasciarsi morire perché non si riceve più la visita dei propri figli. Pensiamoci

Ecco, se dobbiamo trarre una lezione oggi, nella Giornata nazionale in memoria delle vittime del Coronavirus, possiamo dire che i protocolli hanno evitato molti morti. Ma i protocolli, da soli, non bastano, perché l’essere umano ha emozioni e sentimenti e in una casa di riposo si può morire di Covid ma si può anche lasciarsi morire perché non si riceve più la visita dei propri figli. Pensiamoci.

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