Cosa insegna ai lodigiani il successo della Fotografia Etica

Il Festival della Fotografia Etica di Lodi chiude le cinque settimane di programmazione con circa 20mila visitatori. Un numero importante, che colloca la rassegna al periodo pre Covid e che conferma, ancora una volta, quanto questa iniziativa culturale sia diventata patrimonio della città e abbia un valore che va ben oltre l’aspetto fotografico. Questa esperienza ci ricorda - se ancora ve ne fosse bisogno - che la vera ricchezza culturale di Lodi non sta nei quadri e nell’oggettistica artistica, ma sta nell’impianto del centro storico, nelle piazze e negli edifici religiosi, sta nei tantissimi palazzi purtroppo privati e dunque quasi sempre chiusi. E questa è una ricchezza diffusa che può essere sfruttata in chiave turistica, con investimenti limitati e ricadute, anche economiche, potenzialmente interessanti. Pensiamoci.

Ma andiamo con ordine. Al netto della qualità delle fotografie e del nome degli autori, che hanno attirato a Lodi appassionati da varie zone d’Italia, il merito principale del Festival della Fotografia Etica è quello di aver permesso, anno dopo anno, di aprire e far conoscere tesori dimenticati di Lodi. Se non fosse per le esposizioni temporanee di ottobre, nessuno entrerebbe a palazzo Barni e a palazzo Modignani.

Se non fosse stato per le mostre di quest’anno, migliaia di persone da tutta la Lombardia (Lodi compresa) non avrebbero varcato la soglia del magnifico chiostro dell’ospedale vecchio di via Bassi e non avrebbero avuto accesso alla meraviglia dell’antico archivio in legno nel quale, bello nel bello, non solo erano esposte le fotografie ma anche alcuni interessanti documenti del vecchio ospedale, che da soli meriterebbero una mostra.

Da qualche anno poi il Festival si è “impossessato” - e per fortuna che lo ha fatto! - della ex Cavallerizza di via Fanfulla, chiusa da tempo, il cui recupero è stato lasciato a metà per mancanza di fondi. L’allestimento tradisce un poco di provvisorietà - e i responsabili del Festival non nascondono i problemi, anche burocratici, per poter disporre di questo spazio - ma se non fosse per le fotografie esposte, questa struttura che ha un potenziale enorme sarebbe sempre chiusa, nascosta ai lodigiani. E quando una cosa sparisce dagli occhi rischia di sparire anche dalla mente. Che bello sarebbe fare della Cavallerizza una struttura permanente a servizio della fotografia, con mostre durante tutto l’anno.

Girando per le mostre e visitando palazzi altrimenti chiusi al pubblico ci si rende conto di quanta ricchezza c’è nel tessuto urbano del centro storico. E di quanto non sia valorizzata in chiave turistica. Un vero spreco, perché la domanda di fruizione esiste. Ce ne siamo resi conto anche in occasione delle visite di “Lodi segreta”, che hanno fatto il tutto esaurito anche se c’era da pagare il biglietto.

Dunque si può fare. Lodi può davvero puntare su un turismo di corto raggio (diciamo di respiro lombardo-emiliano) che sia incardinato sui tesori del centro storico pubblici e privati e su eventi temporanei di richiamo come il Festival della Fotografia Etica. Non servirebbero grandi investimenti e se a questo aggiungiamo che in un futuro non così remoto sarà possibile anche visitare i percorsi della Lodi sotterranea (i cui ritardi dei cantieri sono ormai imbarazzanti a fronte di troppi annunci pubblici) ci si accorge che il potenziale esiste. Sfruttiamolo. E il Comune si muova in questa direzione.

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