Banche, la commissione arriverà alla verità?

di Paolo Zucca

Il risparmio e i comportamenti delle banche sono diventati, con gli anni, argomenti che muovono la sensibilità e l’orientamento dell’opinione pubblica. Fatto salvo il prelievo forzoso del 6xMille del ’92 e l’utilizzo dell’euro fisico dal 2002, in pochi altri momenti l’interesse collettivo si era concentrato su temi tutto sommato tecnici, meno masticati dei classici lavoro e pensioni. La svolta – amara – è datata 2001/2002 quando circa 800mila famiglie si ritrovarono a dover inseguire i soldi persi con le obbligazioni Cirio e Repubblica Argentina. Allora si ragionava per Bot e per interessi sul conto corrente; si intuiva il rischio delle azioni, non quello dei bond societari e governativi.

Dal 2004, un movimento agli albori individuò nel “risparmiatore tradito” un buon bacino militante ed elettorale. Rubando la scena alle associazioni consumeristiche attive da anni. Si può fissare una data: il 16 gennaio del 2004, quando Beppe Grillo testimoniò all’autorità giudiziaria quanto si diceva in giro ben prima della caduta rovinosa di Parmalat (fine 2003). Fino ad allora la “cattiva finanza” non era stato un buon argomento politico.

Non deve stupire se oggi una Commissione bicamerale d’inchiesta, chiamata a lavorare a ridosso della fine legislatura, diventa un primo campo di battaglia delle Politiche 2018.

Con tutta la buona volontà iniziale, i quaranta senatori e deputati si ritrovano a ragionare per casacca, puntano al miglior ritorno d’immagine di partito e personale. Il presidente Pier Ferdinando Casini insiste nel mantenere il ruolo tecnico e il rispetto delle finalità. Sfilano in queste ore i potenti e gli ex potenti, ministri ed ex ministri, il Governatore della Banca d’Italia e le altre authority. Tutti sottoposti a domande anche scomode, spesso sotto giuramento. Si presentano gli imputati o gli indagati in inchieste recentissime. Lo spettacolo, pur con le tristi inquadrature fisse dell’Aula di Palazzo San Macuto e l’audio imperfetto, è assicurato. I lavori della Commissione (che hanno come matrice – lo ricordiamo – l’articolo 82 della Costituzione) non sono “Un giorno in Pretura” e nemmeno Tangentopoli. Nelle testimonianze alcune parti sono secretate, i giornalisti vanno ugualmente a nozze e in poche ore riescono a svelare gli omissis.

Il vulcano-banche di questi giorni non è solo la solita spettacolarizzazione dei media. Ha anche altre motivazioni: non ci sarà un giudizio completo perché i lavori si concluderanno con la legislatura quindi ben prima dei dodici mesi fissati a luglio.

La vittoria dell’una o dell’altra parte, di quella o quell’altra authority (Consob e Bankitalia si scambiano colpi bassi) viene decretata giorno per giorno. Titolo per titolo, telegiornale per telegiornale. Si vince richiamando l’attenzione degli italiani, non nel testo della relazione finale.

Più partiti stanno cercando di ampliare il perimetro e orientare il calendario delle audizioni per spingere l’indagine nella direzione voluta. Dai 5Stelle prevalentemente sul caso Banca Etruria, evidentemente indigesto al Pd che, a sua volta, ha voluto smarcarsi dal ruolo di Governo mettendo sulla graticola la possibile inefficienza di Bankitalia. Nel centrodestra la lettura critica degli ultimi anni si spinge fino alla crisi dello spread dell’autunno 2011 che concluse l’esperienza di Governo di Silvio Berlusconi. Costretta a dilatare i propri confini, la Commissione rischia di mancare la verifica delle tante motivazioni delle crisi bancarie che hanno prodotto danni alla collettività. Ora però si guarda meno ai salvadanai e molto più alle urne.

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