Energia, materiali, esportazioni: l’industria lombarda rischia una crisi aperta

Solo un’impresa su 3 tra Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia non prevede difficoltà di produzione

Costo dell’energia, difficoltà e rincari nell’approvvigionamento, nelle esportazioni e nei pagamenti mettono a rischio la produzione delle imprese. Solo un’impresa su tre al momento non prevede difficoltà di produzione nel lungo termine, mentre il 27 per cento presuppone di poter lavorare senza interruzioni ancora per un periodo di 1-3 mesi, un altro 32 non oltre i 12 mesi. La durata della guerra e delle tensioni internazionali sui costi energetici, della logistica e delle materie prime saranno fondamentali per capire se l’appesantimento della ripresa in atto si trasformerà in crisi industriale aperta.

I dati emergono dall’analisi del Centro Studi di Assolombarda su insieme di 463 imprese dei territori di Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia, prevalentemente manifatturiere e con rapporti commerciali diretti con Russia, Ucraina e Bielorussia. A causa del conflitto nove aziende su dieci giudicano un problema “importante” l’aumento del prezzo dell’energia, e 8 aziende su 10 valutano allo stesso modo i rincari delle altre commodity. Il 72,6 per cento delle imprese sottolinea poi di avere problemi di approvvigionamento delle materie prime, mentre una su due ha difficoltà a reperire semilavorati, per la carenza o per il costo, degli stessi. Infine, una su tre rileva le difficoltà a esportare e a farsi pagare.

La situazioni più critica riguarda l’acciaio, ma le tensioni sono importanti anche per altre materie prime come nickel, zinco e minerale di ferro tra i metalli, e poi urea e fosfato di ammonio tra i fertilizzanti, e infine mais, olio di semi di soia, frumento e olio di palma tra i prodotti agricoli. Sono già 60 le imprese che a causa di queste difficoltà hanno ridotto i loro cicli produttivi tra il 20 e il 40 per cento. «La produzione di un’impresa su 4 è a rischio nel breve termine - ha sottolineato Alessandro Spada, presidente di Assolombarda -. I dati elaborati dal nostro Centro Studi confermano, infatti, il peggioramento degli effetti dovuti al conflitto e al caro energia sulle materie prime. Evidenze che rendono necessarie misure importanti e urgenti che possano sostenere le nostre aziende che si trovano in difficoltà a produrre».

Anche a causa di queste difficoltà, l’84 per cento delle imprese ha rivisto i prezzi di vendita, mentre è sempre più forte la tendenza alla ricerca di mercati alternativi di approvvigionamento: partita come scelta tattica per far fronte alla crisi Russo-Ucraina, con l’evidenziarsi dei tempi lunghi del conflitto e delle ricadute si sta configurando sempre più come una strategia di medio-lungo periodo per la riorganizzazione delle geografie delle filiere industriali globali. Il 48,1 per cento delle imprese sta cercando nuovi mercati di fornitura, guardando soprattutto alla Cina, ma anche al mercato interno (18,9 per cento delle imprese), alla Germania (13 per cento, agli Stati Uniti (10,9 per cento) e alla Turchia (10,1 per cento). Il 40 per cento delle imprese che esportava verso Russia, Ucraina e Bielorussia e il 16 per cento di quelle che vendevano in altre aree del mondo sono impegnate oggi nella ricerca di nuovi mercati di destinazione.

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