ECONOMIA L’export sta salvando il Lodigiano

I segnali positivi non mancano, ma lo scenario economico e geopolitico mondiale rischia di far scricchiolare il tessuto delle imprese del territorio

I numeri dell’export lodigiano parlano di una ripresa, dopo gli anni disastrosi segnati dal Covid, ma lo scenario economico e geopolitico mondiale rischia di far scricchiolare il tessuto produttivo lodigiano.

Secondo i dati Istat, il 2022 si è chiuso con esportazioni per 1,65 milioni sui prodotti dell’agricoltura (contro 1,22 del 2020 e 1,09 milioni del 2021), mentre per quanto riguarda il settore dei prodotti dell’estrazione di minerali il 2022 si è chiuso con esportazioni per 2,08 milioni (contro l’1,94 del 2020 e i 2,31 del 2021). La vera differenza la fanno però i prodotti delle attività manifatturiere, che rappresentano la stragrande maggioranza delle esportazioni: si è passati da 3 miliardi e 484 milioni di euro del 2020 ai 3 miliardi e 867 milioni del 2021 per arrivare addirittura dai 5 miliardi e 392 milioni del 2022. Di questi 5,39 miliardi, la quasi totalità è fatta sul mercato europeo, che compra dal Lodigiano prodotti per 4 miliardi e 950 milioni.

Ci sono poi 16,66 milioni sui prodotti delle attività di trattamento dei rifiuti e risanamento (13,14 nel 2020 e 11,29 nel 2021), 1,28 milioni nel campo delle attività dei servizi di informazione, 1,06 milioni sulle attività artistiche/sportive, 12,9 milioni di merci varie.

Paolo Caresana, presidente del consorzio Lodi Export, mostra ottimismo: «I dati sono in crescita, per quantità e ricavi, anche perché si è tornati davvero a produrre dopo lo stop della pandemia e della guerra, nonostante questi scenari non siano ancora superati: basti vedere le recenti restrizioni in Cina, o la guerra che ancora continua a ferire nonostante forse la vediamo come una cosa distante».

Ci sono ancora delle problematiche: «Sicuramente le sanzioni alla Russia, dopo l’importante lavoro fatto come consorzio in quel Paese, si traducono in commesse perse. E lo stesso vale per l’Ucraina: purtroppo la guerra fa sì che l’unica esportazione sia quella delle armi, mentre gli altri consumi sono limitati alla sopravvivenza». I dati raccontano, ad esempio, che le esportazioni di prodotti delle attività manifatturiere verso la Russia erano di 10,19 milioni nel 2020, sono salite a 16,08 milioni nel ’21, per poi crollare a 8,32 milioni nel ’22; lo stesso per l’Ucraina: 4,08 milioni nel ’20, 6,54 milioni nel ’21, 3,86 milioni nel ’22.

«La situazione non è rosea, ma ci sono dei segnali positivi, perché l’economia nonostante tutto sta girando»

«Un altro problema - prosegue Caresana - è che con la pandemia alcune imprese sono fallite, quindi i clienti stranieri si sono abituati a comprare altrove, ad esempio in Cina o in altri paesi. Insomma, la situazione non è rosea, ma ci sono dei segnali positivi, perché l’economia nonostante tutto sta girando».

In questo contesto, la Cina rappresenta un problema o un’opportunità? «Sicuramente la Cina è una minaccia per certi versi: perché ormai, oltre alla produzione di basso livello e con scarso valore aggiunto, sta crescendo molto anche nella creazione di prodotti di qualità, tecnologicamente avanzati. Ma, in realtà, sono anche convinto che la Cina sia un’opportunità, se ben gestita: si tratta pur sempre di un Paese con 1,4 miliardi di abitanti, e quindi di un mercato enorme in cui le nostre imprese si possono ritagliare la propria nicchia: magari non per il cibo, perché ci sono gusti molto diversi, ma per la meccanica e meccatronica, per il design, per lo stile: in questo non abbiamo nulla da invidiare a nessuno».

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