AGRICOLTURA Colza protagonista nei campi, Lodigiano primo in regione con 900 ettari

Produzioni minime rispetto al dominante mais, ma in forte crescita

Tornano in fioritura i campi di colza nel Lodigiano. Produzioni minime in Lombardia rispetto al mais, ma il Lodigiano (e il Sudmilano) è il territorio con maggiore superficie dedicata in tutta la regione, per una coltura che pittura di giallo interi campi con un impatto paesaggistico molto scenografico (e grandi potenzialità economiche, sostanzialmente inespresse). Secondo i valori della banca dati regionale, negli ultimi 10 anni il terreno agricolo coltivato a colza è rimasto stabile a 3mila ettari, ma di questi il 30 per cento è coltivato proprio nel Lodigiano, primo assoluto in regione con i suoi 900 ettari. Valori minimi rispetto al mais, oltre 30mila ettari in provincia di Lodi: il colza (sì, tecnicamente il nome è maschile anche se quasi sempre usato nella variante femminile meno corretta) 30 anni fa era molto più coltivato, ma ha una caratteristica che fa a pugni con la vocazione zootecnica del Lodigiano. È infatti una pianta autunno-vernina, ma con maturazione molto tarda, a giugno, di fatto ponendosi in competizione con gli altri cereali, tipicamente il mais, salvo per quello di seconda raccolta, ma molto avanzata. Il risultato è che le imprese agricole, soprattutto dopo il boom dei biogas, hanno quasi abbandonato a inizio Duemila questa coltivazione, che ora potrebbe però conoscere una rivalutazione.

«Ci sono diverse caratteristiche interessanti nel colza – spiega Luigi Simonazzi, responsabile economico di Coldiretti Milano Lodi Monza Brianza -. Intanto è mellifero, favorisce cioè le api. Può inserirsi bene nella dieta, perché i suoi oli sono utilizzati per la margherita, e in generale il suo olio è ottimo per la frittura perché ha un punto di fumosità molto alto. Il panello di colza, residuo della spremitura, può dare una farina dall’alto contenuto proteico, utilissima nell’alimentazione animale, e il suo olio può essere alla base di biodiesel». Ciononostante, finora la sua coltivazione non ha ritrovato impulso: «Il problema è che la nostra vocazione zootecnica richiede ingenti quantità di mais, e dunque il colza è stato negli anni sacrificato – conclude Simonazzi -. Ma le cose potrebbero cambiare se i prezzi troveranno un equilibrio vantaggioso per gli agricoltori, magari sotto la spinta della ricerca di un’alternativa all’olio di girasole di cui importavamo l’85 per cento dall’Ucraina».

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