Dalla bocca per bufà - che abbiamo appena visto (“Il Cittadino” di martedì 8 novembre, Ndr) - alla bocca per ciciarà, il passo è breve. Non solo perché anche il parlare comporta un’emissione di fiato, ma anche perché, come il termine bufà anche ciciarà - al pari dell’italiano chiacchierare, ciarlare, cianciare - è di origine onomatopeica, cioè imitativa del suono che descrive. I lettori un tantino più attempati ricorderanno la divertente trasmissione radiofonica “Ciciarem un cicinin” - che andava in onda su Rai1 dopo il Gazzettino Padano negli anni ’40 e ’50 - di ambiente, e lingua, milanese. La voce ciciarà e derivati (ciciarada, ciciaron, ciciareta ecc.) non si limita però al chiacchiericcio dei crocchi lombardi: la ritroviamo infatti con minime varianti in molti altri dialetti settentrionali (veneziano ciacolar, bolognese ciacarer ecc.). Perché poi si chiamino ciacere-chiacchiere anche certe frittelle di Carnevale - lo ricordiamo per chi si fosse perso una precedente lontana puntata - pare ragionevole attribuirlo alla leggerezza di questi dolci, quasi privi di reale consistenza, insomma vuoti, come sono spesso le chiacchiere. Un curioso sinonimo di ciciarà è zabetà, un chiacchiericcio che rasenta il pettegolezzo. Zabeta (o Beta) per ‘chiacchierona’ è voce diffusa dal Canton Ticino all’Istria, dalla Liguria al Veneto. Questo appellativo, secondo gli studiosi, nasce in ambito popolare dalla proverbiale lunghezza della visita della Vergine alla cugina Elisabetta: il vangelo di Luca afferma infatti che «Maria rimase con lei circa tre mesi». Dal lungo chiacchierare di Santa Elisabetta con la Madonna sarebbe nato quindi il verbo zabetà.In tema di chiacchiere non possiamo tacere un altro termine nostrano, lapa. Che lapa! vuol dire ‘che parlantina’, ‘che loquacità’! Lapa deriva dal latino volgare lappare, verbo onomatopeico che troviamo pari pari anche in italiano, col significato di ‘bere avidamente e rumorosamente, schioccando la lingua’ come fanno molti animali. Se non stupisce trovare anche questo termine in molti dei nostri dialetti, sorprende che compaia anche in lingue non neolatine, come l’inglese: to lap (up) infatti vuol dire proprio “bere usando la lingua”. La cosa viene spiegata dai linguisti con l’origine remotissima di questa parola, risalente al protoindoeuropeo, sorgente di un fiume di lingue che vanno dall’Asia centro-meridionale all’Atlantico, comprendente fra le altre il latino e il germanico. Inutile dire che questo lap non ha niente a che vedere con la lap dance e con il computer lap top, termini di conio recentissimo, in cui lap ha il senso di grembo.Dalle lingue, prossime e remote, torniamo alla lingua - anzi alla lengua - per ricordare diverse locuzioni un tempo di uso quotidiano. Come lenguadora, ‘chiacchierone’; o lengualunga, altro sinonimo di loquacità, da alcuni associato al pettegolezzo e alla maldicenza. Il senso di ‘malalingua’ traspare con più evidenza nell’espressione “lengua che la taia el fer”, ossia ‘lingua tagliente’.Sorvoliamo su altri modi di dire, che troviamo anche in italiano, come “pias la lengua” (‘mordersi la lingua’ per aver detto qualcosa di inopportuno); “el parla perché el gh’à la lengua” (‘dice cose senza senso’); “cun la lengua in buca se va dapartüt”, cioè ‘basta chiedere per arrivare ovunque’.Più curiosa è invece l’espressione “südà suta la lengua”, della quale si danno interpretazioni differenti. La più plausibile si richiama al fatto che sotto la lingua è sempre umido, e perciò in questa parte del corpo “suda” anche chi non si affatica per niente. Un richiamo ironico allo scansafatiche di turno (lod. vaianon).
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