Gh’ò gnanca el temp de bufà...in ciel el sul e i nigui/ a cur a rigulent/ in un buf pien de speransa... I versi autobiografici di Cecu, tratti da “Polenta e luna”, mi vengono in soccorso per la puntata odierna di questa rubrichetta. E “tiri un buf”, ossia un sospiro di sollievo, “...pien de speransa” di poter arrivare in tempo a consegnare il pezzo in redazione.Questo buf è un termine di uso comunissimo nel nostro territorio, ma è diffuso un po’ dovunque nei dialetti settentrionali, e sta per ‘soffio’, ‘fiato’, ‘respiro’.“Oh fiöi, bufi” (‘ansimo’) diceva mia nonna dopo la prima rampa di scale; “...me manca el buf”, ribadiva arrivando “sül balatoi” dopo la seconda; e “lasém bufà” (‘lasciatemi riprender fiato’) concludeva accasciandosi sulla sedia appena entrata in casa.“Gh’ò gnanca el temp de bufà” era il suo lamento ricorrente, alle prese con marito e figli e cura della casa: non trovava nemmeno il tempo per respirare. E talvolta sbuffava, o meglio, “la bufeva grev” (letteralmente “respirava pesante”), per esprimere impazienza o insofferenza.D’altronde respirare è indispensabile, come ben spiegavano i nostri vecchi puntando sull’ironia: “È mort ***/ Se gh’é süces?/ El s’é desmentegad de bufà”. Anche se la fatica costringe talvolta a “bufà ‘me una tenca” (lett. ‘respirare come una tinca’), cioè ‘boccheggiare come un pesce fuor d’acqua’.Se il pesce senz’acqua muore, il buf-soffio dà vita, nel laboratorio del fornaio, al bufet, il panino “soffiato”, ossia vuoto all’interno.Di comprensione meno immediata, e di uso più limitato, è invece la curiosa espressione “l’è da bufà via”, detta generalmente di un bambino grazioso, vestito con delicata eleganza.Il verbo buffare (col significato di ‘soffiare con violenza’, ‘sbuffare’, ‘ansimare’), ora in disuso, siste però anche in italiano. Sette secoli prima del buf di “Cecu dela Bergugnuna” lo troviamo infatti negli scritti di un altro Cecu, l’Angiolieri, quello di “s’i fossi foco...”, contemporaneo di Dante. E curiosamente nell’inglese (puff) e nel tedesco (puffen), nel senso ristretto di ‘sbuffi di fumo’. La vastissima estensione d’uso di questo termine deriva probabilmente dalla sua origine onomatopeica, cioè riproducente il suono che descrive, in questo caso quello di un soffio.Di largo uso nel settentrione, ma di ben diverso significato, è invece puf (in altre regioni con base buf-),voce gergale e popolare per ‘debito’. Far puf per far debiti lo registrano però anche autori taliani del primo novecento; non solo, lo troviamo pure in analoghe espressioni nel francese (faire pouf) e nel tedesco (auf puff nehmen: ‘prendere a credito’). Anche questa è probabilmente una forma espressiva, che indica “inconsistenza”.Se con la bocca sbuffiamo, non dimentichiamoci però, nelle nostre contrade inquinate, che è meglio respirare dal naso. Naso che, oltre a respirare, serve a nasà. Nasare per ‘fiutare, annusare’ è un termine classificato come “regionale”, anche se si permette di usarlo un autore del calibro di Italo Calvino. Ma siccome, ben prima che nel contemporaneo Calvino, lo troviamo in Jacopone da Todi - poeta umbro del XIII secolo - ce lo possiamo permettere anche noi.A Lodi - ma non a Todi - si può incontrare anche un altro verbo, nasüsà, un ‘annusare’ insistente in cui prevale il senso traslato di ‘curiosare continuamente intorno a qualcosa’. Cerchiamo di evitarlo.
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