El strübion, un stras fai de s’ciavina

Approfittiamo di questi giorni tradizionalmente dedicati, oltre che alla festa per la Risurrezione del Signore, alle pulizie di primavera (i mesté de Pasqua), per proseguire nel percorso iniziato la scorsa puntata. E dalla lavanderia - in cui ci siamo occupati del bucato - passiamo in cucina, dove anziché a rigovernare troviamo i lodigiani impegnati a lava giù (altrimenti detto, scherzosamente, “sunà el piano”). Qui, per far risplendere pentole e tegami bisogna pulire a fondo, anzi sgürà, verbo di uso regionale che in italiano (‘pulire una superficie strofinando vigorosamente’) si fa prima a fare che a dire. Sgürà è quello che rimane in Lombardia e dintorni del latino tardo excurare (lod. netà via), il quale ha risalito l’Europa lasciando antiche tracce di brillantezza nelle lingue di Francia e Germania, ed è infine approdato in Gran Bretagna, dove ancora oggi troviamo qualche massaia tradizionalista intenta a “scouring caldrons” (sgürà i caldiröi).Se il caldiröl - come il suo omologo britannico caldron - dichiara esplicitamente (al contrario dell’italiano paiolo) la sua provenienza dall’antica Roma (lat. calidarium), la pignata ha un’origine più controversa, anche se prevale fra i linguisti la derivazione dal latino parlato pinguiatta, cioè recipiente atto a contenere il grasso.Da notare che la parola pignatta trova posto anche nel vocabolario della lingua italiana (‘grossa pentola in genere di terracotta’) mentre il significato generico di pentola è di uso regionale.Non possiamo però parlare di pentole tralasciando, come fa il diavolo nel detto popolare, i coperchi, o meglio i cuerci, termine diffuso in tutte le regioni bagnate dal Po. L’origine, come per il verbo cuarcià (coprire), la troviamo ancora una volta nel latino: da cooperire, che ha prodotto l’italiano coprire e i termini equivalenti nelle altre lingue neolatine, oltre che - tramite il francese - nell’inglese (cover).Tra gli arnesi di cucina da sgürà non dobbiamo dimenticare la casülera - da non confondere con la casiröla - e il casül. Casül e casülera, lo diciamo per i forestieri e gli Under 50, sono rispettivamente il mestolo e la schiumarola. Il latino medievale aveva cattia, di qui l’italiano cazza (da cui cazzuola), e i nostri casül, casülera e casiröla (it. casseruola).E gli stracci per le pulizie? Troppo facile per chiunque riconoscerli negli strasi lodigiani. Più ostico ad orecchi forestieri è invece lo strübion (o strügion), strofinaccio tuttofare, il cui nome risuona nell’intera Lombardia e in parte del Piemonte.Nel dialetto milanese dell’Ottocento era già considerato un termine antico, sinonimo di fregon, ‘fregaccio’. Fra gli scritti di autori lodigiani lo troviamo citato, ad esempio, nella raccolta “El scaldalet”, di Enrico Achilli: «... ‘na volta la ciamevum el strübion/ a l’era un stras rubüst fai de s-ciavina/ druad per i mesté dela cüsina...». Questi versi fanno rivivere un’altra parola dimenticata: s-ciavin(a). Così veniva chiamata una stoffa rozza, come una tela di sacco, usata in casa per i pavimenti e per altre pulizie grossolane. La schiavina, da cui prende il nome, era una veste di panno grezzo e pesante di colore bruno, portata nel Medioevo da pellegrini e religiosi, originaria della Slavonia.Il suo nome, come la parola schiavo, viene associato alla riduzione in schiavitù di parte della popolazione di quelle terre dopo le guerre vittoriose dell’imperatore Ottone il Grande nel X secolo.

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