Un lettore, incuriosito dalla variegata famiglia del casül, alla quale - oltre alla casülera e alla casiröla che abbiamo incontrato la volta scorsa - appartiene anche la casöla, l’attrezzo del muratore, si chiede perché viene chiamato così anche un piatto della tradizione contadina lombarda. Secondo alcuni, il nome di casöla dato alla pietanza a base di verze e parti meno pregiate del maiale (piedini, costine, cotenne e altro) viene anch’esso da casül, per identificazione della vivanda con l’attrezzo usato per servirla; secondo altri deriva dalla pentola - casiröla - in cui la si cuoce. In italiano viene chiamata cassola e viene cucinata un po’ dovunque, con alcune varianti sia nel nome sia nella preparazione. Qualcuno la chiama semplicemente verzata, con grande scandalo dei gourmet tradizionalisti più intransigenti.Avendo indicato fra gli ingredienti le cotenne - per farci capire dai turisti di passaggio - ci sentiamo in dovere di fornire la traduzione per gli indigeni: la cotenna è il nostro - e lombardo - cudega (da cui discende quel Carlo Cudega che chiamiamo in causa per riferirci ai tempi andati, a cose vecchie, superate). In effetti in italiano esiste anche la parola cotica (da un antico cutica) ad indicare la pelle spessa e setolosa, in particolare del maiale; come esiste il cotechino (lod. cudeghin), insaccato contenente un trito di carne di maiale e cotiche, entrato nel vocabolario italiano proprio attraverso i dialetti settentrionali.Rimaniamo in cucina ricordando un altro piatto popolare che i lodigiani associano indissolubilmente alla festa del loro patrono San Bassiano: la büseca. Quando chiamiamo così la trippa, pensando di usare una parola prettamente lombarda, dimentichiamo che esiste in italiano la parola busecchia, sinonimo di budella, salsiccia e, appunto, di trippa. Anticamente usato per indicare una tasca o una borsa, questo termine lo troviamo anche nel Decamerone del Boccaccio. Figlio del latino medievale buzacca, condivide la stessa radice di buzzo, ‘stomaco, ventre’.La carne alla base di questo piatto la si ricava da una parte dello stomaco del vitello o del manzo; a questa si aggiungono cipolla, pomodoro (anticamente i ceci), fagioli, verdure e spezie, a seconda del luogo.A complicare le cose ci si mette però il fuiöl (foiolo). Per la sua preparazione si usa la parte dello stomaco detta foglietto (o centopelli), così chiamato per la forma a lamine della sua parte interna che ricordano le pagine di un libro. Alcune ricette indicano la büseca come la versione in brodo, mentre il fuiöl quella in umido. Noi ci limitiamo a registrare queste varianti, occupandoci dell’aspetto linguistico senza “pucià el nas” nel lavoro delle nostre brave cuoche.Sulle curiosità linguistiche della büseca c’è invece ancora qualcosa da dire. Così come in italiano la parola trippa indica anche una grossa pancia, in senso spregiativo il nostro dialetto conosce il termine büsecon, riferito sia all’addome sia al proprietario. Tutt’altra cosa sono invece le büsechine, un piatto proteico ma sostanzialmente vegetariano: castagne secche sbucciate (lod. ciuchin) e bollite, immerse poi nel latte o nel vino.Ma che cosa c’entrano le castagne con la trippa? Niente. Secondo la tradizione milanese, il nome di büsechine ce l’hanno suggerito i montanari svizzeri che venivano a lavorare in Italia molto tempo prima che noi andassimo a lavorare da loro. Fra le diverse attività di questi immigrati extracomunitari ante litteram, c’era quella di vendere castagne sbucciate, «pulite»: e siccome a quei tempi in tedesco ‘pulire’ si diceva butzen (oggi putzen), ecco saltar fuori dalla storpiatura di una parola straniera le nostre gustose büsechine. Un sostegno a questa ipotesi potrebbe venire dalla parola buzzurro (‘persona ignorante, dai modi grossolani’), originaria dell’Italia centrale: era il soprannome dato inizialmente a questi montanari d‘oltralpe i quali si spingevano a vendere castagne fino a Roma. Quello che i milanesi non spiegano è come questi svizzeri che venivano dal Ticino e dai Grigioni, cantoni dove si parla italiano e romancio, abbiano potuto regalarci parole tedesche.
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